Lari. La pianura comincia a diventare collina e i cartelli a segnalare prodotti tipici. La ciliegia è decantata ma non coltivata, le strade si trasformano in curve e ciottoli. Le mura iniziano a circondare i centri storici e agli occhi non resta che rimanere, ancora una volta, conturbati alla vista dei primi cipressi e delle abitazioni che si trasformano in torri, all’interno di giardini delibanti conti svizzeri e ascendenti nordici. Così, Lari si presenta nella sua sonnolenza di piccolo gioiello nascosto, sì turistico, ma ancora poco sovraesposto alle calate dei pullman, dei barbari, degli accenti trafelati e dei menù tradotti in aramaico turistico. È come se qui esistessero ancora gli abitanti del luogo senza affacci monumentali. Ma lo stupore ha sempre il polsino inamidato pronto alla bocca aperta.
Il navigatore non mi conduce verso una zona industriale, non ci sono capannoni, non ci sono camion pronti a partire, parcheggiati al sole di quattro cani lasciati a guaire. All’interno del centro, a monte di una salita caratteristica, in un angolo incrociato con un muretto, direttamente in un anfratto da macchina fotografica messa a fuoco, il pastificio Martelli ha portato fuori, con la sua vista su tutta la collina e i quasi novant’anni di produzione, il suo lavoro e la sua famiglia. Quella casa-e-bottega, simbolo di un mondo talmente espresso da essere lento, è lì a dimostrare la possibilità di non avere bisogno di una cravatta. Perché sette persone, senza dipendenti esterni e senza cedimenti, hanno ricomposto all’interno di due strutture abitative-lavorative la simbologia futurista dell’artigianato italiano: la Famiglia.
-“Pronto!”
-“Famiglia Martelli, buongiorno”.
Ecco, è tutto lì. Non c’è molto altro da aggiungere. Qui, non si fa impresa, non si usano paroloni, non c’è una deferenza e una spiegazione, ci sono sempre le stesse sette persone appartenenti allo stesso nucleo, una casa, un laboratorio e una produzione. Si pranza ancora tutti insieme senza quei retaggi comunicativi da vendita laccata scesa a patti forzosi con la contemporaneità. Propri prezzi e cinque formati di pasta che sarebbero stati quattro, se pochi anni fa e diverse settimane ad assaggiare tutti i fusilli prodotti in Italia, non avessero omaggiato il territorio pisano attraverso sette giri rafforzati in un simbolico omaggio alla Torre pendente: il Fusillo di Pisa.
Dino è l’ultimo capostipite, ha preso in mano l’azienda negli anni ’60, ci lavora dal giorno della nascita, il 13 febbraio 1945, e ha condiviso la missione con suo fratello Mario e con sua moglie Lucia. In produzione ci sono lui e suo figlio Luca che si districano tra i tre piani dell’opificio. Grani duri maremmani e romagnoli (ma ci sono stati periodi di magra dove la gran parte degli artigiani incominciò a guardare al Canada…), i primi per dare sapore e fragranza, i secondi per dare struttura e tenuta, una sola tipologia di miscela raffinata, acqua, rigorosamente fredda, e nient’altro. Il resto è fatto da macchine, antiche e rimesse a nuovo, in continuazione da Mario, e sudore, tanto, forse troppo, sicuramente sei giorni a settimana. Un giorno per tipologia di pasta e tutti per l’essiccazione fatta lentamente a temperature sotto i quaranta gradi per circa cinquanta ore. Un’umidità fuori da qualunque logica, sfidata da Luca estate e inverno… una delle imprese più ardue della mia vita di saunista. Altro che Helsinki. Il pastificio Martelli potrebbe tranquillamente proporsi come casa di cura per dimagrimenti subitanei e per ingrassamenti distillati. Mulino Borgioli di Calenzano, nessun interesse verso la “contemporaneità” dei grani antichi, dell’integrale e della filiera. I Martelli sono Pastai, hanno una conoscenza del metodo talmente raffinata da risultare tracotante, lavorano senza soluzione di continuità, seguono i cicli delle stagioni e della fame. Mezz’ora di pausa pranzo e Dino, ribadisco, classe 1943, lascia convitati, straordinari fusilli con i pomodorini (Lucia è un obbligo alla forchetta…), polli arrosto e orti poco convenzionali, per tornare a togliere la pasta dalle macchine e comporre i telai.
Miscela, impastatori, estrusioni, trafile rigorosamente a bronzo, prima de-umidificazione della pasta che lascia ancora una percentuale d’acqua, telai, essiccazione finale a bassa temperatura, chiusura manuale della pasta in sacchetti gialli stilizzati con disegni a matita e calligrafia corsiva. Laura e Lucia si occupano del laboratorio e del packaging. Non si vende niente in loco, ma la pasta Martelli è uno di quei rari prodotti che all’eco internazionale-nazionale-gourmet-post-atomico tiene concione tra i tovaglioli e le padelle delle casalinghe di Lari, di Usigliano e di Casciana Terme. L’internazionalità non è dimenticanza. Almeno in questo caso, dalla famiglia Martelli si può tornare a casa.
La pasta rilascia amido, è chiaramente un prodotto da contesto e non da testo, si abbina bene a qualunque scelta, la penna liscia è un modello d’accompagnamento, perfetta in tenuta, il fusillo è bilanciato nella durezza tra l’esterno e il tubo centrale, spaghettini e spaghettoni vengono accorciati e spezzati, sono porosi, rilasciano meno amido e hanno una struttura più legata al dente che al palato, così come il maccherone. La pasta, questa pasta, in quel viaggio che va dalla Sardegna alla Toscana, fino alla storia delle bonifiche, alla povertà e alla ricchezza, è una pasta che non aspetta il giorno dopo, che non si rinnova, che non retrograda i suoi profumi. Lucia è categorica. La pasta, questa pasta, va mangiata appena scolata.
E la storia, questa storia, fatta di poche nebbie e molta concretezza, si porta dietro il passato, si potrebbe svolgere ovunque in qualunque decennio del ‘900, non conosce crisi e nemmeno mode, si rinnova essendo sempre uguale a se stessa. È più simbolica di qualunque affresco michelangiolesco. È l’Italia e il nostro futuro, perché citando bene non si sbaglia “chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente (penne rigate, fusilli tricolori, spaghetti aromatizzati al peperoncino…), controlla il passato…”.
PASTIFICIO FAMIGLIA MARTELLI
VIA SAN MARTINO 3
LARI (PI)