Whisky: tra leggenda e cantina… Giorgio D’Ambrosio

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Milano. Piazza De Angeli. Un luogo nascosto in una città che non esiste più. Portici anacronistici, vie senza uscita e botteghe dall’aria stanca si susseguono nella paradossale domanda “per quanto ancora?”. Ma i riti, a Milano, sono duri a morire. Rimangono legati al tempo e alle rughe, sono fatti di tavolini, di lampadari scoscesi di vetro, di boiserie in ottone e rovere, e barman pronti ancora a portare sul vassoio il Rabarbaro Zucca. In questo angolo di mondo, il Bar Metro rimane strettamente legato all’immagine di una Milano da Bere, fatta di aperitivi e tavole fredde, che non è mai del tutto scomparsa. Il rito è rimasto quello che era. Noccioline, sottaceti, salumi e pinzimonio. Un onore davanti al banco e uno stupore dietro. Ma le bottiglie campeggianti diversità sono il mondo “dozzinale” (ma più che accettabile…) del consumatore di whisky. Il signor D’Ambrosio non è ancora arrivato e non ha ancora messo i miei occhi sulla sua cantina.

Giorgio è un artigiano a suo modo, assolutamente lontano da qualunque riflettore. La vanità, nascosta ma sarcastica, è sotto traccia ma non troppo. Eppure è uno dei più grandi esperti/collezionisti di whisky al mondo.

Così… senza l’apparenza, in una cantina che non ha nulla di fascinoso, in un bar che è molto più italiano della mediocrità e del giudizio.

Lui non ha scimmiottato i riti degli altopiani scozzesi, non ha trasformato il suo luogo in un ritrovo per clan e nemmeno in una fumisteria alcolica. Ha scelto l’Italia e ha creato un Bar, la territorialità di una somministrazione che non vanta che se stessa.

Settantacinque anni, qualche dipendente e un ragazzo, Riccardo, alcuni anni spesi in giro per il mondo tra bar e stipendi e gli ultimi due trascorsi ad imparare e ad annusare distillati. Il naso e il palato non si comprano al supermercato. L’affinamento è un maestro o un viaggio. O entrambe le opportunità. “Vado avanti perché c’è lui. È partito da una qualità così alta che ora non vuole più scendere”. E siamo sempre in uno scantinato, tra brochure d’antan, grembiuli, una coltre di polvere e domande sulla punta della lingua. Qui non ci sono battitori, ricchi giapponesi e annoiati aristocratici. Qui c’è una collezione di bottiglie che ha la sua cifra nell’unicità.

Giorgio ha passato gli ultimi sessant’anni ad annusar barili, ad imbottigliare whisky e a lasciare gli occhi lì strabuzzati. Bottiglie di Glen Grant create appositamente da James Grant per la sorella, una delle due bottiglie di Malt Mill, “ritrovate” ad anni dalla chiusura della distilleria e immortalate da Ken Loach nella parte discordante della sua narrazione (“La parte degli angeli”), bottiglie di Jack Daniel’s uscite direttamente dalla guerra di secessione, bottiglie di artisti dadaisti con il Bar Metro stilizzato in etichetta, Ardbeg di qualunque epoca e di qualunque forma, distillerie impossibili, imbottigliamenti unici, storie lasciate lì come se ci volessero due vite per riprenderle su rullino, immagini di Gin, Armagnac, Cognac, Grappe e Rum da mancanza di tempo, bottiglie di acqua minerale con decreto regio in etichetta, Talisker degli anni ’30, Lagavulin di fine ‘800. Almanacco di un mondo che non esiste più se non in una contemplazione. Si cambiano gli addendi dell’elenco e si trova comunque il prodotto, con la polvere, con l’etichetta mangiucchiata, dietro fila di ossa, ma comunque si trova. E poi si fissa e si gode l’attimo. Nessuno saprà mai se il torbato è diventato catrame, ma l’estetica della forma è già godimento e bevuta.

Giorgio è stato uno dei primi imbottigliatori indipendenti italiani. Forse il primo, forse no. Lui non vuole parlare né di sé né degli altri, ma è molto più chiaro di qualunque egotismo. Il torbato in Italia è roba sua. O forse no. Poco interessa. A lui e anche a me. Come il continuo diniego davanti all’eccesso. Giorgio dirompe con i no, utilizza il sarcasmo e poi si emoziona. Riesce ancora ad avere una comunicazione non complice, refrattaria al gusto e anche alla troppa vanità. Ha quell’uggia milanese da pozzanghera sporca impossibile da levarsi di dosso. Sguardo basso ed entusiasmo lontano. Il dialogo deve scaldarsi, non basta il tempo della conoscenza. I volti, una volta usciti dal Bar, sono come sepolti. L’imperturbabilità iniziale non è né cinismo né snobismo. È necessità di comprensione. Se il rischio ha un senso oppure è Glen Farclas ai porci. Da buon cultore (in Giappone è venerato come un semi-dio… questa cosa mi ha talmente spiazzato da lasciarmi sorpassare dal desiderio…) ha una distilleria preferita, Ardbeg (di cui ha anche vagheggiato il nome affianco al titolo di Owner) e una serie lunga una vita di distillerie visitate, barili imbottigliati, barili ad affinare e appassionati in venerazione nella sua cantina. La Scozia aveva una tradizione e l’ha mantenuta, aveva una cultura e l’ha mantenuta. È già un fascino da landa desolata… se poi qualcuno la rende vivida, è ancor di più una torbiera e il suo mare senza impicci…

 

BAR METRO

VIA DEI MARTINITT 3

MILANO (MI)

Giorgio D'Ambrosio

Sicerità per sincerità! A prima vista non suscita molto interesse!
Visto cosa ha scritto, e come l’ha scritto, senza prendere nessun appunto,in un mare di bottiglie mai viste in un lasso di tempo brevissimo devo solo farle i miei più sentiti complimenti!
Devo rinnovarle i miei complimenti per avere quasi totalmente descritto il mio “concetto” di vita.
Lieto di averla conosciuta, felice se avrò il piacere di rivederla.
Giorgio D’Ambrosio

Giorgio D'Ambrosio

Dopo avere letto i vari articoli che hai scritto,sento il dovere di rinnovarti i miei complimenti per la “passione” e per la ricerca, oltre a tutto il resto,che vi si trova.
Li trovo istruttivi a tal punto che consiglierei di leggerli, o farli leggere, nelle scuole.
Quanti giovani conoscono le eccellenze dei nostri prodotti e di conseguenza, anche, le fatiche dei vari “artisti artigiani” che tramandano le varie tradizioni (del nostro bel paese)unico al mondo?
Se serve, il bar metro è sempre aperto.

Francesco Fera

La persona è la personalità di Giorgio sono in tutto è per tutto uguali ad un totem a cui tutti riconoscono poteri divini ma che lui riesce a rendere accessibili ai comuni mortali grazie ad un innato senso di Umiltà, Disponibilità e Semplicità unici ai giorni nostri. Segno evidente di Cultura e Lavoro di altri tempi.
Ho conosciuto Giorgio in un’unica circostanza al MWF 2013. Sono un fortunato.

Carlo Battistella

Sottoscrivo, sig. D’Ambrosio. Seguo l’autore da diverso tempo e da appassionato di artigianalità, posso dire che sta facendo un lavoro prezioso e unico, in particolare decidendo di raccontare quello che sta al di la del prodotto e della tecnica: l’uomo, la sua umanità e l’esperienza del proprio mestiere.
Complimenti a lei, per il suo lavoro e il suo modo di intenderlo.
Carlo Battistella

Carlo Battistella

P.S. Non so quanto darei, oggi, per aver avuto la possibilità di incontrare, negli anni in cui si decide da che parte andare e che uomo essere, un artigiano come lei e come altri raccontati da Scaglione, che mi insegnasse il suo mestiere, l’amore per quel mestiere e il modo speciale di intenderlo che le (vi) appartiene. Che mi conducesse nel suo mondo di artigiano facendomene diventare parte.
Grazie, con profonda stima.

Carlo Battistella

Raffaella

Posso testimoniare con che passion quest’uomo ha collezionato,amato e conosciuto le sue bottiglie…posso testimoniare della sua personalita’ assolutamente sarcastica e a tratti vanitosa,ma soprattutto della sua onesta’ come uomo e come collezionista…e posso testimoniare in prima persona perche’ sono sua figlia e ho l’onore di portare il suo cognome (ironia della sorte per uno dei piu’ grandi conoscitori di vini e whiskey del pianeta sono astemia,ma come dice anche lui,non tutte le ciambelle reiscono col buco)…

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