Bufali nella pianura reggiana… Luciano Govi

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Borzano di Albinea. Il regno della Ferrarini, delle sue stalle e delle abitazioni di quelle maestranze consone a rimanere all’interno di un perimetro di lavoro. Nascosto dietro gli occhi del borgo antico, dei ristoranti chiusi e degli approdi in collina, il lavoro delle persone è fatto di rotonde, di nebbia e di inverni continentali, quelli che non lasciano tregua, che non riflettono altro che felicità e televisione, con le luci fioche e le persiane chiuse alle cinque di pomeriggio. Così, in quei luoghi l’inventiva è frutto di una collaborazione invidiosa e di una cooperazione atavica che ha sempre scandito dei ritmi coesi e politici. Qui l’agricoltura è sempre stata economia, usufrutto e imprescindibilità del raccolto, così le storie si assomigliano un po’ tutte. Chi si lamentava, adesso rimpiange il passato, chi si lamenta oggi è perché ha mangiato abbondantemente, schermendosi dalle depravazioni e dai vizi. Tutti hanno un’opinione perché tutti si sono sporcati e tutti si sono puliti. Il pubblico è diventato privato e il modello consorziale ha mostrato un po’ di rughe. L’assalto alla diligenza può essere intelligente/territoriale/privatistico o becero/qualunquistico. Lì in mezzo viene deposto l’umano.

Luciano Govi è un allevatore con alle spalle un passato sincretico tra l’Emilia e le sue diramazioni. Si è associato, si è laureato, ha creato cooperazione, ha lavorato per il Ministero, ha conferito latte ai caseifici, è passato attraverso la crisi della Giglio, il rampantismo della Parmalat, l’associazionismo politico e si è ritrovato imprenditore con un’idea di sostegno agricolo: un allevamento di bufali mediterranei con delle estensioni semantiche alla definizione di filiera.

Le sue stalle sono ospitate da un’azienda vicina, gli animali arrivano dalla Lombardia pronti per un lungo finissaggio di oltre sei mesi, quello che resta è uno stato semi-brado prolungato, un’alimentazione senza trinciati, fatta solo di fieni auto-prodotti e proteine, una parte di lavorazione fatta in azienda dove arrivano le mezzene e la collaborazione con alcuni norcini per mortadella e salame.

Luciano è un collettore che sta provando a trovare dei canali comunicativi e commerciali per una carne magra e ferrosa, che in Italia non ha appeal, che è fuori dalla ricerca genetica e che è molto al di qua della produzione di mozzarella, unico Dio di un mercato non troppo dissimile da quello del Parmigiano.

La carne di bufalo è magra con quel sapore sanguigno perfettamente bilanciato all’interno di un ragù, dove il pomodoro esalta ancora di più la sapidità, e nei tagli più pregiati che finiscono per pochi minuti sulla brace, in modo da non asciugare troppo. Meno facile da controllare nelle lunghe cotture e nei ritagli di quotidianità dove l’attenzione al tempo deve essere certosina pena la suola di scarpe. Il salame, se non supera la giusta stagionatura, alterando la struttura, è più che piacevole e particolarmente masticabile, la mortadella è squisita: magro di bufalo e grasso di maiale. Niente altro da aggiungere. Una miscellanea perfetta per il non-solito prodotto. La merda imbudellata per aperitivi secchi nei nuovi locali da rotonda è una non conflittualità.

Perché in questi posti, trovare macellai e ristoranti che decidano di puntare su un prodotto che non lascia molto spazio alla fantasia, è un lusso inconsapevole. Far parlare la materia prima, in un tessuto culturale dove il bufalo non fa parte dell’immaginario collettivo, è straordinariamente intransigente. Soprattutto perché Luciano sta provando a creare una rete di produttori che abbiano un senso e abbiano un prodotto necessariamente uguale e necessariamente diverso. Perché i modi contano ancora e il tempo deve dare seguito ad una comunicazione… pena la sparizione. Entrare all’interno di un sistema oleato e sepolto, è troppo delicato per un prodotto che non ha spiegazioni ma solo molti errori… ma il futuro a volte è pervicacia… basta un nonnulla…

 

AZIENDA AGRICOLA IL GIRASOLE

VIA MELATO 19

BORZANO D’ALBINEA (RE)

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