Montecavolo. Frazione di Quattro Castella. Ultimo lembo di una pianura che continua a fare finta di nascondersi. Una coltre di neve copre qualunque perversione e qualunque ricordo. Il navigatore è l’unica salvezza. È tutto bianco con la nebbia che a mezzogiorno inizia a scendere sui campi. Questa è la culla del formaggio reggiano, qui si è consorziato l’impossibile, si è creata la grande socialità dei caseifici e si è persa la morale a spartirsi colpe e quote. Quel che resta è sicuramente abbastanza ma tende, come tutte le energie non più rinnovabili in termini economici e culturali, ad invecchiare. Così, Montecavolo non è altro che una frazione a pochi passi dal capoluogo, sulla strada che va verso il Cerreto, bloccata da imprudenze e umori. Così qui, chi è imprenditore agricolo, lo è da generazioni, qui la terra si tramanda, non si compra, non ci sono colpi di testa ma solamente tradizioni con possibilità di rinnovo. C’è chi si adegua e guarda al futuro, chi è nella fase cotidie mori destinata all’esaurimento e chi è già bell’e morto e ha venduto tutto nel nome del capannone come unico Dio. Ecco, in questa provincia, dai tratti ancora candidi, la famiglia Rossi (padre, madre, tre figli maschi e svariati nipoti) porta avanti dalla notte dei tempi l’allevamento, nato come conferimento, diventato conto-terzismo e con un futuro prossimo di trasformazione e di filiera finalmente completa.
Il tutto con un’estetica definita e una vendita di quasi il 90% del prodotto in azienda. Le stradine che conducono alla fattoria non sono luogo di passaggio ma di missione. Per comprare il Parmigiano Reggiano, come per la mozzarella di bufala d’altro (unico) canto, le distanze non sono mai state un problema. La serbevolezza ha sempre fatto portare via il lungo periodo, gli amici e i regali. Così la vendita territoriale si è trasformata in un riferimento al marchio fin troppo chiaro. All’interno delle strette maglie del decalogo di produzione, sono pochi gli aggiustamenti e ancora meno i capricci, si può solo lavorare sull’approvvigionamento del fieno e del tempo, e lì Graziano Rossi, il comunicatore di famiglia, ha pensato di dar vita alla sua sfida personale. Forme in stagionatura mostrate dietro un enorme vetro, volte a botte in mattoni a vista, vetrate di coppe, pancette, Felino e culatte, una piccola bottega gastronomica e un pozzo all’ingresso che regola l’umidità di stagionatura dei salumi stessi. Lì in mezzo è difficile la discrasia sia della provocazione che della critica. Così mi adeguo al ruspante mattutino, empatizzo con la camicia un po’ rurale-un po’ grunge e ascolto una storia simile a centinaia d’altre e assolutamente rivoluzionaria.
Epopea centenaria con una propensione verso l’allevamento. Vacche frisone in stabulazione libera, una ventina di litri di latte al giorno mantenendo lo stress contenuto, un tenore grasso oltre il 4% (quindi decisamente più alto rispetto agli antagonisti), tra le sei e le otto forme al giorno (che potrebbero salire a dieci), niente erba, ma tutto fieno autoprodotto, con un mantenimento alimentare costante nel corso dell’anno, in modo da avere un Parmigiano senza più quella divisione ormai sepolta tra maggengo e vernengo che puzza di muffa interdetta. Ancorché il mito della stabilità e l’assenza di pascolo non siano coesi con il mio star bene, rispetto scelte che hanno un “purché” di benessere. Trentatré mesi profumatissimi, senza trigeminale, pieni, per un prodotto finale veramente buono. Paglierino tenue uniforme, granulosità minuta e un sapore persistente di burro fuso.
Per i maiali largewhite invece il discorso è diverso. Lo stato semi-brado tende in maniera preponderante verso il brado. Terra, spazi verde e specchio lacustre sono lo stadio primitivo del salame. Macellazione veramente pesante, intorno ai 250 kili, salumi e insaccati della tradizione. Lunghe stagionature, pancette sopra l’anno, coppe, culatte e un salame assolutamente equilibrato, masticabile, non particolarmente grasso, rosso rubino, sapore in aumento con il lavoro enzimatico e pulizia finale in bocca senza nessun bruciore.
Salumi e Parmigiano erano, sono e saranno sempre la territorialità più profonda di questi luoghi. Graziano lo sa bene, sa che il futuro non può che passare da una filiera il più dogmatica possibile, così il formaggio, per quando suo figlio sarà pronto, non verrà più prodotto nel caseificio sociale del paese dove lavorano il loro latte per le loro forme, ma verrà creato direttamente in loco, con quel plus di controllo che solo la famiglia può apportare. Perché il Parmigiano, o Reggiano che sia, è un prodotto atavico, con un futuro incerto e sicuramente ad imbuto, dove i giovani saranno sempre “figli di” e dove i vecchi lasceranno le aziende nella speranza di un futuro o nella necessità di un oblio. Così tre fratelli rappresentano una di quelle possibilità di esistere che nessun investimento verrà mai a surrogare… perché il senso economico è venuto meno e l’imbarazzante guerra dei prezzi si sta portando via tutto…
FATTORIA ROSSI
VIA LEOPARDI 18 MONTECAVOLO
QUATTRO CASTELLA (RE)