Borgata San Maurizio. Frassino. La storia della pietra e delle costruzioni eterne che riportano il sogno di una camminata domenicale, che fanno vaneggiare un inverno nevoso e costretto, con la neve ad impedire il passaggio. E così sei lì a guardare dentro dalla finestra, con la condensa ad oscurare il paesaggio e un bianco che è di altri mesi. Qui l’estate non è il tempo delle ferie, qui non esiste il tempo delle ferie, la lingua occitana prevarica l’empatia, i cognomi sono sempre gli stessi, l’abbandono della gioventù è l’abbandono della vita adulta, perché l’agro ha portato il sogno a compromettersi con la diffidenza e con le privazioni. Trasformare la sussistenza in bancarelle attiene al commercio, al fondo valle, a una mela caduta lontano dall’albero. Ma la nascita è altrove. Borgata Vittone, dove si fa risalire il Toumin, ora disabitata e remota, e Borgata San Maurizio, ultimo avamposto di un retaggio filogino, che ad oggi non vede un futuro a meno del baluginare di qualche nipote lontano. Continue reading Toumin dal Mel: tra tradizione e modernità… Lucia Rossi e Bruna Garino
Categoria: Artigiani del gusto
Filiere di carni di montagna… GestAlp
Frassino. Valle Varaita. Il fondovalle si chiude, s’incurva, mostra solo le borgate appese alla roccia, rimanda l’immaginazione, rimane strettamente legato allo scorrere del torrente eponimo senza la libertà d’indagare. Il centro è uno svilupparsi di discreti ristoranti post-tradizionali, zimmer in confusione con la sede del comune, case diroccate e tetti in ardesia che riflettono la luce, corroborando la voglia di selvatico. La Val Varaita è un luogo sonnolento dove non far nulla per mesi per poi ritrovarsi assolutamente concorde con una vita di sacrifici. Percorsi occitani, poeti provenzali, intagliatori di legno, neofiti della solitudine: in una giornata estiva, dove il cielo è un bello sfondo su cui fermarsi, questi luoghi rimangono ancor di più un passo indietro al turismo, un paese di zii, Barba e cultura minoritaria. La saga popolare non ha molto da cercare, i volti della gente sono dirozzati perfettamente per giocarsi qualunque ruolo, anche quello del “gotico contadino”. Continue reading Filiere di carni di montagna… GestAlp
Anche il Grana Padano può avere la sua filiera… Sorelle Conti
Cividate al Piano. Profonda bassa bergamasca. Strade statali azzoppate dal cemento, un fiume Oglio di cui non si sente la necessità e una dedizione agricola che non è mai andata oltre il bisogno. Rispetto economico contadino che non è mai del tutto riuscito a ripulirsi. E così le evidenze rimangono le chiese e le botteghe che sono diventate vieppiù centri estetici per abbronzature lampo. Le rocche medievali sono lasciate al tempo che fu e a qualche immaginazione più fervida da poggiarcisi sopra quella volta al mese così per almanaccare un po’. Ora il dormitorio si è fatto stringente, i muratori e i carpentieri continuano ad edificare e la voglia di novità deve comunque passare dalla produzione. Così, un’azienda come l’Agricola San Giorgio ha potuto sonnecchiare per anni in una comunicazione di profitto agricolo e poi scoprirsi diversa, andargli stretto tutto l’apparato legato ai grandi formaggi italiani e riportare tutto a casa. Continue reading Anche il Grana Padano può avere la sua filiera… Sorelle Conti
La carne recupera il suo senso… Fabio Magri
Chiuduno. Un paese in mezzo alla strada, dove potrebbero bastare a loro stessi quei pochi artigiani se solo scoprissero la possibilità di esserlo. Invece la lotta contro l’incuria e la noncuranza è un principio solido di sguardo lontano. Si guarda la collina, si spulciano i vigneti della Valcalepio, si cerca di rimanere sempre e comunque legati a delle bellezze naturali che sono ma non qui. L’essere vicino è la rappresentazione stentorea di un luogo senza più troppe voci: vicino alla città, al lago, ai boschi, ai vigneti, all’autostrada, alle industrie e alle montagne. C’è qualcosa di casuale nel percorrere sempre la stessa strada, si sentono rumori lastricati di lamentale e dissidi. Qui, c’è ancora gente che non vuole arrendersi all’imperare dei video poker, dei gratta e vinci e della vita buttata dalle scale, c’è voglia di artigianato, ci sono costi inaffrontabili e paure ataviche, ma c’è comunque un pulviscolo di movimento. Guida tutto e tutti, al di là di Daniel Facen dell’Anteprima, Fabio Magri, macellaio innovatore. Continue reading La carne recupera il suo senso… Fabio Magri
Frutti di bosco in una pianura recuperata… Emiliana Bertoli
Pontoglio. Cento metri al di là della provincia bergamasca, questa è già una pianura più convinta, una bassa da cavalcavia che già comincia a dar mostra di sé. Case pastello, un ponte eponimo, delle fabbriche in mattoni testimonianza di un tempo di lavori coatti e di principi architettonici che trovavano il bello anche nella fatica, tanti restauri e rifacimenti, rughe messe sotto scacco dalle solite amministrazioni senza retaggi, una piazza, una chiesa, un po’ di acciottolato che non fa mai male e quei tre-quattro cento metri molto più che accettabili ma facilmente indistinguibili, perché i paesi sui fiumi, dall’800 in poi, hanno avuto funzioni chiare, produttive e taumaturgiche. Ciminiere e campanili, tempo occupato e tempo libero, la fede come missione, la famiglia come condivisione e il silenzio come educazione. E così qualcuno doveva provare a fare un po’ di agricoltura diversa, un po’ di artigianato di frontiera oltre quel limite dato dalla convenzione di stare in un paese di pianura. Continue reading Frutti di bosco in una pianura recuperata… Emiliana Bertoli
Una denominazione per il formaggio di capra orobico?… Federica Cornolti
Ponteranica è una ridondanza bergamasca come tante altre. Non ci sono motivi per venire e non ci sono motivi per andarsene. Chi nasce lì, di solito resta lì. Con le classiche fughe universitarie, con il lavoro fuori mano, ma con la giusta voglia di una campagna addomesticata in mezzo al Parco dei Colli. I tetti ruggine, le strade strette in salita, i terreni controllati e le cene a sole calante riescono a caratterizzare il quotidiano sotto forma di orografia, di quell’acqua fondamentale e straripante in hinterland, già tenutari di almeno una montagna. La bergamasca è un territorio molto partecipato e poco incline ad offrirsi, qui, in queste lande, tra i valichi alpini e i bassi e nebbiosi cascinali, il formaggio di capra è diventato quasi una religione. I decani Battista Leidi e Gianni Mosca hanno formato un manipolo di studiosi della materia, insegnandogli il mestiere dell’allevatore e quello del casaro. Giovani che hanno scelto, che si sono laureati e che hanno deciso di ritornare alla terra con dedizione e fatica. Federica Cornolti, in questo gruppo, rappresenta la leggerezza. Continue reading Una denominazione per il formaggio di capra orobico?… Federica Cornolti
Il cacao del delta del Mekong (featuring Marou)…
Can Tho, My Tho, Ben Tre. Il delta del Mekong in tutta la sua ampiezza di strade uniche senza itaerpendicolari, case, baracche, sedie di plastica, amache e dietro una profondità abissale, dove si aprono corsi d’acqua che si richiudono subito tra palme e bambù. Nel loro casino esistenziale, anche la natura non poteva prendere altri tratti e così immergersi in questa proto-giungla, dove la frutta ti cade in testa e dove le maree tolgono acqua e portano sabbia, è qualcosa di intimamente legato alla fortuna… di trovare qualcuno che ti ci faccia penetrare, spiegandoti le direzioni e la viabilità di un luogo dove compaiono case, ponti, motorini e strade ma dove è impossibile ritrovare una destinazione abbandonata. Qui gli alberi da frutta imperano lavorando sul subliminale e sul riflesso condizionato. Non ce la fai, vorresti mangiare tutto, farti tagliare i jack fruit al momento, lasciarti ammaliare dal cromatismo della pitaya, aspettare che i mango maturino e le noci di cocco diventino arancione. È un luogo inquinato, sudato e meticcio, da cui andarsene diventa una profonda forma d’ingiustizia. Continue reading Il cacao del delta del Mekong (featuring Marou)…
Giova: una piccola gelateria con una possibilità… Giovanni Lettieri
Milano. Corso Indipendenza, zona Risorgimento. Una Milano bene degradata dall’incuria e dalla contemporaneità degli occhi chiusi. Tra bivacchi e liberty, il tocco di raffinatezza brilla tra i marciapiedi e le facciate mentre dietro agli alberi si nasconde quel pruriginoso che fa male, che non è lascivo ma solo più struggente. Il dileggio borghese tiene da parte cantieri e playground, alberghi fatiscenti e case Aler rivendicate che, in quel laboratorio sociale di convivenza possibile, sono l’anima popolare di chi sta cercando di ridarsi un belletto, di guardare verso le Porte per trovare un po’ di confidenza, una mano tesa e un locale alla moda. Si parte dai negozietti, alla ricerca di quel popolo yuccie da tavolozza creativa e da affitto sempre pagato. E così si cedono i tempi a una gioventù che si è dimenticata le tavole fredde e le edicole, i bar tabacchi e le salumerie, che vede latterie e balere come l’ultima delle scoperte, non accorgendosi di lucrare quel po’ di nazifascismo che c’è in ogni ritorno al popolare. Qui la gentrificazione ha avuto successo e il residuato bellico del quartiere ha quell’accento imprescindibilmente milanese che ormai senti come macchiettistico. I nativi son tornati nelle riserve. Continue reading Giova: una piccola gelateria con una possibilità… Giovanni Lettieri