Poggioreale è un luogo abbandonato, uno di quei posti dove si ha a che fare con i fantasmi delle cose, da dove non è possibile che venga restituito nulla, se non ruderi di un terremoto che ha distrutto e stravaganti costruzioni di un nuovo abitato che non è altro che un reticolo di viali periferici senza un centro e con un abisso di costruzioni incommensurabili. Lo sviluppo ha svuotato la possibilità della distanza, del perno attorno a cui tutto far ruotare. Così rimangono fotografie in bianco e nero dei margini di un rudere che non è altro che vegetazione spontanea, solitudine e distanza diurna. Così la Valle del Belice, in quell’esistenza agricola che trasforma gli inverni nelle primavere e i gialli autunnali in vitigni imbottigliati e svenduti, diventa strada statale, strada dissestata e curve senza via di uscita, in mezzo a quei paesi che non hanno altro che il ricordo di una storia che non si è compiuta. Così si cerca di guardare indietro per qualche possibilità di lavoro e per regalare qualche ora di quel tempo fermatosi nel 1968. Continue reading Progresso verso il passato… Lorenzo Pagliaroli e Simona Chessa
Categoria: Artigiani del gusto
Il tempo che fu e il tempo che sarà… Macelleria Contini
Cremona. Strada Padana Inferiore, ponte in ferro, chiatte, nebbia e approdo sul Po. Lì c’è la divisione, quella sentita e quella dimenticata. La bellezza delle piazze e della architetture di signorie decadenti sembra lontana. Anche le periferie qui hanno qualcosa di umido, di assolutamente accordato sulla foschia dei lampioni. Cappotto, bavero e sciarpa intorno alla bocca sono la mostrazione lasciva di una città senza angoli e chiusa in se stessa. Perché qui i pregiudizi non si sono trasformati in novità. Così ogni volta che torno, trovo sempre gli stessi lati, gli stessi volti e la stessa lamentela di vivere una città morta. Ma stavolta è il sobborgo-residenza per anziani che aspetta la spazzatura che mi porto dietro dalla pianura. Ancora una volta non è il torrone che mi richiama perché qui la speranza si è trasformata definitivamente in fantasticheria. Così, nel periodo del cotechino, cerco un cotechino e un suo macellaio. Continue reading Il tempo che fu e il tempo che sarà… Macelleria Contini
Circoli chiusi e circoli aperti del miele… Sergio Zipoli
Romanengo. Pianura cremonese. Nient’altro che provincia, qualche casa bassa, un macellaio star, un sistema di cascine, rotazione colturale, case basse e foto in bianco e nero. Questo è un orizzonte ormai consumato, non ci sono più fascinose oasi di quiete in cui fermarsi per contemplare l’inverno. Sembra un senza-paesaggio di Paul Morand. L’ascesi della Bassa qui è stata perversa, piegata ad una volontà di hinterland e di riposo dove si vive tra serenità e misteri. È un buon luogo dove ritirarsi dallo stress lavorativo e far crescere i propri figli. E così uno ha anche del tempo per crearsi un’attività e per provare a fare della qualità al di là dell’apparenza.
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L’estremo rispetto dello stagionatore… Stefano Lunardi
Aosta. Pochi parcheggi, centro storico delimitato, irriguardosa presenza di bellezze naturali e di accenti apotropaici che tolgono la velleità di lamentarsi. Il patois locale è un’inflessione recuperata ma mai scomparsa, parlata ma mai imposta. Qui siamo in una di quelle zone di confine dove una Nazione diventa un’altra. Il limite come terra di mezzo tra soglia e confine. Qui l’Italia necessariamente diventa Francia. Senza complimenti e senza recisioni. Aosta è il luogo simbolo del passeggio e del passaggio. La gente corre e si allontana sulla strada per Pila o per la Valtournanche, rimane giusto il tempo di un negozio. Il resto è sguardo e nostalgia. Perché qui c’è una bellezza disillusa che non riesce a richiamare perché divertimento e relax sono concorrenti troppo ostici. Così chi rimane deve fare le cose seriamente, guardando al territorio e alla tradizione. Continue reading L’estremo rispetto dello stagionatore… Stefano Lunardi
Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre
Ayas. Un’estate che non vedo se non attraverso vecchie fotografie di un borgo recuperato. La valle più bella della Val d’Aosta. Almeno così nei racconti. L’immaginazione è quella di un luogo molto oltre i suoi duemila metri, i borghi recuperati e la pietra a vista. Le caratteristiche abitative non appartengono ad un invasione ma ad una collisione. Legno, roccia ed erba. Fuori e dentro la casa. Con quei pascoli che si vanno svuotando, rendendo l’oltre impossibile. Il cielo è il limite e così le vacche mangiano il mangiabile ridando indietro un po’ di Sicilia e un po’ di Irlanda. Ma questo è inverno e c’è ancora, rarità nella rarità, chi ha deciso di produrre il proprio formaggio solo in alpeggio. Quattro mesi all’anno o poco più. Il resto è una transumanza, meditata dagli anni che passano, verso un luogo e verso una professione che è diventata casa nel corso degli anni. Continue reading Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre
Formaggi, errori, linciaggi e perdoni… Giacomo Romelli
Breno. Strada per il Passo Crocedomini. Là, verso quel valico ormai chiuso per la troppa neve, i pastori hanno sempre fatto i pastori, gli animali hanno sempre fatto gli animali e i turisti hanno sempre fatto i turisti. Tutti buoni e tutti stronzi. Questo articolo è un pensiero condiviso da quattro persone, probabilmente becere e qualunquiste, ma sicuramente alla vana ricerca di togliersi almeno uno dei pregiudizi…
Questa è una storia di linciaggio, di morte e di assenza di redenzione. È una storia di occhi svuotati dalla morte e dalla disperazione. Che il mondo di oggi sia un mondo senza Dio non devo certo corroborarlo, basta guardare il luogo dell’ignominia dove alberga il giudizio sull’altro, per non riconoscerlo più come gusto ma come disgusto. Alla fine, ci continuiamo a nascondere, e siamo diventati tutti un po’ più cattivi. Eppure, un paio di migliaia di anni fa, un tipo abbastanza brillante, tunica e barba lunga, parlava di pietre scagliate, di perdono e di redenzione. Ma l’ascolto non è riuscito a diventare un rogo. Continue reading Formaggi, errori, linciaggi e perdoni… Giacomo Romelli
Formaggi territoriali e rifugi antiaerei… Il Brè e Rosario “Beppe” Gelfi
Breno. Fondo valle. Giornata cupa. Inizio dicembre. Sommessamente perso tra le nuvole basse, l’asfalto incomincia a diventare sampietrino e le piazze iniziano a colorarsi di pastello. La Valle Camonica ha uno spaccato al di là dell’industrializzazione coatta che l’ha resa immensa fuori dall’immaginazione. E questi viali, i palazzi, il castello, le chiese, la dedizione di un orario che porta a stare dentro più che fuori ma soprattutto le fontane, la continua presenza di acqua, l’umidità, l’ombra del Crocedomini, la presenza del neolitico, il ritrovamento del solito cereale nel solito tascapane dell’ennesima copia di Ötzi, fanno di Breno un luogo diverso perché senza fretta. Turistico con delle bellezze che riescono a mantenere intatti i silenzi di una natura che non c’è più. O almeno non c’è lì. Perché basta alzare lo sguardo e il territorio diventa prati e alpeggi, diventa la stessa idea supportata da quel luogo e da quei paraggi. Pietra, acqua e stagionatura dei formaggi. I pascoli del territorio brenese sono tra i migliori in Lombardia. Si fa Silter, si tacita il Bagoss e si sofistica il Bagosso. Perché lassù, in quel trivio dove i formaggi bresciani hanno creato la leggenda, l’erba è talmente buona da diventare conservazione. Continue reading Formaggi territoriali e rifugi antiaerei… Il Brè e Rosario “Beppe” Gelfi
Enoici salumi di pianura… Roberto Migliorati
Cremosano ma per pura casualità. Il cartello che definisce la fine di Crema è un pelo prima, il paese è lontano sull’imperdibile Strada Provinciale 2, una freccia che taglia la pianura senza alcun tipo di desiderio. I monumenti cittadini sono alle spalle, il freddo lacera le rotonde con quelle macchine che trapassano i non-luoghi senza nemmeno accorgersene. Un centro commerciale lascia spazio ad una concessionaria che lascia spazio ad un capannone in produzione di muletti e così l’intercessione non è più nemmeno una questione di fede. Qui si abbandona, si passa e si lavora. Il resto bisogna cercarlo un po’ più fuori, tra fiumi e boschi, o più dentro, tra chiese e piazze. Così è meglio non affiancare la vendita alla produzione. Un po’ di nascondimento, un furgone refrigerato e la voglia di viaggiare bastano alla genesi di un artigiano. Roberto Migliorati fa il norcino dalla notte dei tempi, suo padre faceva il norcino dalla notte dei tempi, suo nonno… forse suo nonno no… ma son dettagli…
Il calore del salume è lontano, le osterie che spengono la nebbia e accendono i camini, rendendo alla bassa quella vita che si è persa nella sonnolenza, anche, il capannone è l’immagine produttiva di qualcosa che non si edulcora più o che non si è mai edulcorato. Roberto girava per le cascine, portava in saccoccia la sua arte, imparando a mangiare ma soprattutto imparando a bere. Continue reading Enoici salumi di pianura… Roberto Migliorati