Il riso è una questione di famiglia… Carlo Zaccaria

Salussola. Baragge e tregenda. La pioggia e le nuvole basse decidono per l’autunno. Il monte Rosa e le alpi Biellesi sono una perversa immaginazione di chi avrebbe voluto un altro tempo e dell’altro tempo. Il paese è un eremo apparentemente lontano da queste brughiere paludose dalla vocazione coatta, visto la difficoltà di coltivazione: la risicoltura. Il resto è savana e vista. Quella nascosta nel ricetto di Candelo, con le sue leggende di devastazione e conservazione, e quella palese delle montagne che definiscono una zona dove le frequenti inversioni termiche favoriscono la feracità dei terreni e della pianta di riso.

Il Piemonte è caratterizzato dalle sue diversità. Non c’è nulla oltre la coltre. Il Piemonte è quello che rimane sotto, ombroso e oscuro. I suoi colori sono cupi, quasi rarefatti. Ogni zona, anche la più lussureggiante, ha un’indefinibile tristezza. C’è una sorta di rumore di fondo che rende unica, al di là di visi e paesaggi, questa regione, misconosciuta e terribile. La baraggia non ha avuto la rivalutazione agricola da gita fuori porta. Le case in pietra delle brughiere inglesi diventano cascine diroccate dai nomi più fantasiosi, non lasciando spazio all’immaginario ma alla produttività. Il riso, a metà settembre, è pronto per essere trebbiato. Così è nei suoi colori. Giallo e verde tutt’intorno fino alla Cascina Margaria, oltre duecento ettari in possesso della famiglia Zaccaria.

Carlo, figlio di non so più quante generazioni di risicoltori, mi accoglie e iniziamo a camminare. Ogni tanto si scusa per avermi portato nella fanghiglia con la pioggia, il vento e le nuvole che coprono tutto. Ma il suo dovere di mostrare è l’inizio di una comprensione.

Qui ci sono coltivazioni destinate all’industria e coltivazioni destinate al proprio marchio. Le aziende di riso soffiato garantiscono l’acquisto e i terreni vengono salvaguardati fino alla trebbiatura. Quello che succede dopo non è un interesse della famiglia Zaccaria. Carlo ha deciso di perseguire la qualità e la filiera. Laddove tutti i suoi colleghi agricoltori portano il riso da terzisti per sbiancature, pilature e commistioni varie (perché il lavoro fatto sul campo va difeso dai trasformatori pressapochisti che prendono il prodotto e lo mischiano a quello del collega…), lui ha messo in piedi il proprio impianto, iniziando una produzione filologica e qualitativa. Ora, la cultura del riso si deve accoppiare ad altre confezioni e ad altri claim che mancano di quella ricercatezza manierata molto comune tra tavole stellate e classifiche su internet. Carlo lo sa e sa bene che la fortuna di un Acquerello passa attraverso packaging, comunicazione e avvenenza.

Agricoltura integrata, sovescio, rotazione e fitofarmaci non residuali. Mi mostra le infestanti del riso e i giavoni in un campo che ha mantenuto in biologico e le difficoltà, a livello di resa, che questa agricoltura andrebbe a comportare. Tralasciando la convinzione, raccolta e trebbiatura devono avere un senso e una vendita. Qui la permacoltura è un sentore con una finalità diversa. Carlo non vuole trasformare l’azienda in una riserva indiana. Non vuole salutare, con la mano alzata, il viaggiatore di civiltà ormai estinte. Deve vendere e deve vendere il miglior prodotto possibile con la resa migliore possibile per mantenere una selezione qualitativa in raccolta. Il problema è che questo passaggio, con il carnaroli, è un passaggio complesso: poca resa e molta fatica, altrimenti si rischia di perdere un prodotto diverso. Diverso dalla Lomellina, da Isola della Scala e dal vercellese.

Stagionatura di almeno sessanta giorni, essiccazione leggera, selezionatrici ottiche, sbramatura per il riso integrale e sbiancatura artigianale, con moderne attrezzature e reperti eroici di un’agricoltura padana che non esiste più, fatta di legno, ingranaggi a vista e assoluta dedizione al prodotto. Il Carnaroli di Baraggia raggiunge a malapena il metro d’altezza (la conformazione territoriale che non permette zone all’ombra delle piante, non permette nemmeno quella crescita “gourmet” che nelle parole dei risicoltori in giacca di velluto a costine è sinonimo di autenticità e purezza, altro che Karnak o Volano…), superba consistenza in cottura, poco colloso e ottimamente separato. Sant’Andrea e arborio tengono benissimo la cottura. Questo mi stranisce. Il Sant’Andrea addirittura guadagna in densità senza diventare colloso. Forse un filo troppo d’amido rilasciato, ma più facile da lavorare. Sembra quasi un carnaroli della Riserva San Massimo, così amato dagli chef… Aggirando le diciture, Carlo produce un basmati Armonia, un riso nero e un riso rosso di Baraggia. Freddi, chicco duro, cuticola in bocca e perfetti in preparazioni combinate con il pesce. Poi ci sono i semi-lavorati, su cui non ha ancora testato un pensiero, poco pubblicizzati e poco interessanti. La facilità è un intimo preludio d’industrializzazione.

Così Carlo e la sua famiglia, che in questo momento hanno più desiderio che necessità, tendono ad una strada più impervia: sfidano il luogo comune dell’estensione cercando il proprio prodotto, quello che non fa campare, quello che non rende così sicuri, quello che entra in un mercato dove nessuno ha un’idea che si discosti dall’amido, dalla mantecatura e dalla collosità del prodotto. Il riso è un’abitudine non un risotto. E Carlo quando mi ha parlato di cottura, ha sempre indicato i tempi di bollitura mai quelli di “risottatura”. Ecco perché un produttore di riso manca sempre la leziosità del nome, rimanendo sempre una qualità. Ma l’italiano vuole sempre l’espresso, mai il caffè… non si può cambiare l’animo, ma l’abito sì… ecco il perché di un produttore di riso…

 

AZIENDA AGRICOLA ZACCARIA SILVIO

CASCINA MARGARIA 8

SALUSSOLA (BI)

Andrea

Ciao, bel ritratto di Carlo Zaccaria, forse il più sottotraccia tra i risi di qualità italiani: niente urla o clamore.

Mi sorprende questa tua frase: “la fortuna di un Acquerello passa attraverso packaging, comunicazione e avvenenza”. Ti sei dimenticato un “anche” oppure lo ritieni un riso standard, al pari (o sotto?) di altri meno reclamizzati?

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