Qualcosa di biblico in quei formaggi… Arcangelo e Paola Rosso Baietto

Netro. Continuano le strade sbagliate, la fanghiglia, la pioggia a dirotto e una dimensione che non riesce a tirarsi fuori dal tergicristallo e da una speranza di non rimanere intruppati nella palta. Le direzioni prese causa navigatore anarchico si sprecano, viali che non sono altro che trappole che fanno avvicinare ad un bosco, che fanno pensare all’intimità di un cascinale e delle sue bestie, che lasciano l’immagine del ricetto e di quell’impellenza di nascondere tutto, principalmente la vacca da latte, dall’irruenza dell’invasore e del fuoco, ma che puntualmente non fanno altro che confondere e rigettare nell’errore. Passando da una di queste strade, noto una cascina, nessun cartello, nessuna immagine e nessuna estetica. Passo oltre.

Ci tornerò quattro ore più avanti per fermarmi. Qui non esiste una comunicazione. L’idea di pagina web che mi viene mostrata da Paola e da suo figlio non fa altro che avvicinarmi all’orrore. Manca la possibilità di un’artigianalità che non venga confusa con la vendita. Una cascina, tre volti estratti dal libro dei ricordi e quattro prodotti. Tutto ciò è di per sé una comunicazione. www.cascinacastagnolio.it non andava bene? Il pensiero del parente, grande perito di posizionamento web, li ha veramente spinti verso un prodotti-tipici.it? Ma veramente? Rimango talmente confuso da dimenticare il prodotto…

Poi torno sui miei passi e ci riprovo. Perché m’interessava la famiglia Baietto? Perché, oltre ad essere tra gli ultimi, nella montagna biellese, a produrre burro a latte crudo (ormai nemmeno più d’alpeggio, perché le concessioni comunali sono rapsodiche e respingenti…), sono anche tra gli ultimi ad allevare esclusivamente la razzetta di Oropa, una straordinaria pezzata rossa di montagna, dal manto chiazzato di mogano intenso.

Mi accoglie la signora Paola (imbeccata da una chiamata di Mauro Albertini) ex infermiera, con il cuore diviso tra Torino e il biellese, un’anima cittadina e una parlata talmente distante dalla valligiana contemporanea, da lasciarmi secco. Eccola la comunicazione. Non c’è bisogno del sito internet acchiappa mosche, bastano Paola e quella prospettiva così lontana dalle attese da risultare più realista del re. Arriva anche il figlio, ad età della ragione da poco raggiunta, che mi illustra il loro lavoro. Le vacche fanno pascolo quasi tutto l’anno. Senza la necessità dell’alpe. Quelle due-tre ore al giorno al contatto con erba e fiori rendono molto più complessa ma molto più interessante la loro lavorazione del formaggio.

Una volta c’era un grossista che si faceva carico del prodotto, ora bisogna venderlo da solo. E credo valga per tutta la valle o per quello che resta tra Netro ed Oropa. Pochi giovani, ancora meno vacche al pascolo e una tradizione sulla caseificazione del latte millenaria. Le poche e chiare parole di Paola vanno in questa direzione. Qui si sta sputtanando il passato, qui ci sono casari che hanno iniziato a produrre mozzarelle. Quando le chiedo dei suoi formaggi e delle sue fantasie, mi guarda torvo, dicendomi che loro fanno burro e toma, toma e burro. E una ricotta affumicata di recupero. Caldere in rame, legno, spini in acciaio, zangola moderna e burro sagomato in panetti, con l’ultimo latticello a sgrondare. Cantine naturali dove stagionano le tome. Doppia tipologia: lavate a secco e lavate con acqua e sale. Per affinamenti più lunghi o più brevi. Acari naturali che accentuano il fascino della montagna e muffe gialle. La toma della valle dell’Elvo è una classica lavorazione della montagna piemontese, a latte scremato e crosta lavata. Il prodotto della famiglia Baietto è un filo oltre nell’amarezza, forse per il troppo caglio, forse per insufficiente spurgo del siero. In quello più stagionato, al primo impatto, c’è una piacevole sensazione di fava di cacao che degrada in qualcosa di balsamico. Quella più giovane ha un fieno forte, un amaro da salatura nei gusti e ottimi retrolfatti. I formaggi sono corretti, non particolarmente raffinati nei sapori e nemmeno troppo selvatici. Anche il burro, che ha un naso forte di stalla, è rustico ma non scostante. Mantiene le aromaticità nei giorni, senza irrancidirsi e senza peggiorare. Identitario della montagna. Da casa e non da lavorazione. La ricotta, invece, è veramente un gran prodotto. Leggero fumé e facile contestualizzazione.

Arcangelo arriva nel finale, mi scambia, probabilmente, per un venditore di fumo, ha la necessità della carta stampata per scambiare opinioni autorevoli e alla rivoluzione web preferisce, come la gran parte dei volti che popolano valli e alpeggi ma anche divani cittadini e ricordi da agenzia di viaggio, la foto in bianco e nero e il pezzo griffato su una poltrona in velluto dove crogiolarsi nell’immagine enciclopedica delle “scripta manent”. Due occhi indagatori, un po’ di ritrosia, due mani usurate da montagna e da silenzio.

Una famiglia fuori dal comune, fuori dalla comunità, fuori dalla banalità. Quello che mi rimane sono dei capelli grigi salottieri senza salotto e una erre smussata che parla di latte…

 

ARCANGELO ROSSO BAIETTO

CASCINA CASTAGNOLIO

NETRO (BI)

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