La ciccia slow… Davide Tibaldi

Bra. Capitale enogastronomica del Bel Paese. Una marea di persone. Una manifestazione, “Cheese”, poco più attraente dell’Esselunga alle sei di un sabato pomeriggio, ma sicuramente money-oriented e pietra filosofale di molti affinatori, venditori, grossisti e di un po’ meno pastori e casari che, al limitare della propria produzione, hanno chiuso la metaforica claire, con la scritta formaggi esauriti, e hanno guardato le persone indirizzarsi da quelli che il formaggio ce l’avevano, ce l’hanno e ce l’avranno sempre. Qualcosa di buono, poco, qualcosa di meno buono, molto.

Nel delirio del sabato pomeriggio, la gente ha preso d’assalto i venditori di salsiccia di Bra. Dovunque essi siano. Gli affari migliori, chiaramente, li ha fatti (vedi i mieli di Carlo e Susanna Amodeo o le nocciole di Josè Noè) chi ha venduto qualcosa che non fosse formaggio. La gente ha bisogno di spezzare, di qualcosa di dolce, di suadente o di neutro. La richiesta è stata talmente elevata che hanno dovuto riaprire il macello pubblico nottetempo per soddisfare le compulsioni dei turisti.

Tra quelli che macinavano e insaccavano, quel sabato pomeriggio, c’erano anche tre generazioni della Famiglia Tibaldi: nonno, padre e figlio. Una fiumana di gente in bottega. Delle donne, più o meno legate alla genealogia familiare, alla vendita e un appuntamento che si è trasformato in una volata.

Riesco ad entrare in laboratorio nonostante la reticenza. Poco tempo, molto lavoro ma un’accurata attenzione alla comunicazione della professione. Vengo invitato, a metà di una settimana qualunque, ad andare a visitare i loro personali allevamenti a cui si approvvigionano sia Davide che suo fratello Dino, proprietario di un’altra macelleria sempre a Bra, che fa capolino senza storie da raccontare. I capi di piemontese, unica razza presente in macelleria, vengono scelti direttamente in alpeggio. Il finissaggio viene fatto in stalla e l’alimentazione, messa a punto con lo storico veterinario di Bra il dottor Delfino, consta di orzo, fave, fieno, cereali e per l’ingrasso, attraverso un metodo particolarmente inusuale, di uova e di tagliatelle. E nella carne si sente tutto. Il controfiletto è umido, di un rosso quasi scuro, molto frollato per essere di vitello, evidenti strati di grasso intramuscolari, molto rari nelle magrette fassone d’oggidì, straordinari gusti e retrogusti. C’è veramente di tutto.

La salsiccia di Bra, pur essendo il prodotto principe di macelleria, città e zona, è impassibile. Magra. Oltre ottanta per cento di vitello e il resto pancetta di maiale. Da mangiare rigorosamente cruda. Un buon passatempo o un buon aperitivo. Niente per cui strabuzzare gli occhi. Sapori a posto, pepatura (con i prodotti di Sardo e Quaglia) un filo oltre il desiderato e carne cruda senza concessioni al lussurioso. Cosa che sfortunatamente (il freddo non è ancora Natale…) accadrebbe con le cotture lunghe da bue grasso, visto che il cappello del prete di manzetta, cucinato all’olio, ha messo in alto l’asticella. Glutammato, sapidità, morbidezza e intensità di retrogusti ferrosi ed erbacei. Bingo!!!

Davide e il figlio si concedono per poco, sono entusiasti del mestiere che fanno, frollano la carne in mezzena, non hanno alchimistiche mummificazioni in cella, l’ipertrofica piemontese è un mezzo per arrivare a dei gusti che possono associare la territorialità alla raffinatezza, avrebbero anche l’eloquio se ce ne fosse il tempo, sono macellai che hanno preso il tempo cercando di attualizzarlo alle mode e alla vendita, senza la necessità di essere chic o paraculi. Fanno parlare un prodotto e una regione. Ecco tutto. Quello che mi è bastato e quello che non mi è bastato…

 

MACELLERIA TIBALDI DAVIDE

CORSO GARIBALDI 18

BRA (CN)

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