La Lessinia al tempo dei pastori… Lorenzo Erbisti

erbisti

Roverè Veronese è un continuo sali e scendi di luoghi abbandonati e contrade che non portano da nessuna parte se non nel selvaggio. La Lessinia non concede favori e nemmeno pudori, ha questo viso rilassato che nasconde bene le brutture, ha quello stampo tedesco-cimbro che delinea le strade senza renderle agevoli e ha quel turismo mascherato da gita domenicale post-scout e pre-pensionamento. Senza delle indicazioni casuali è impossibile toccare due volte le stesse vacche e le stesse piante. Il versante centrale è quello dei formaggi e delle stalle del Monte Veronese, dove il latte è lo stadio morente di una popolazione che non esiste più se non asintotica alla realtà. Fughe disperate, eremi romiti e professioni talmente distanti dalla definizione che non sono nemmeno un dialogo. Eppure c’è una bellezza disattesa e confusa, c’è un paesaggio assolutamente inalterato e assolutamente inesplorato ed è in luoghi come questo che le vacche Rendene e le pecore Brogne possono ancora rivendicare il proprio spazio al di là della produzione, della stabilità e di quei casari che darebbero via tutto in cambio di un cappio da legare.

Qui, in questi luoghi, la famiglia Erbisti ha sempre portato avanti la pastorizia e l’allevamento di vacche. Carne e latte che nel corso del tempo si sono trasformati in una necessità di avere il proprio prodotto con quella filiera che qui, pur avendole, è molto al di là di tutte le certificazioni e di qualunque certezza.

Poche parole, pecore al pascolo tutto l’anno e vacche da latte in mezzo all’erba da marzo: non c’è bisogno nemmeno dell’alpeggio per sapere che Lorenzo Erbisti sta portando avanti, insieme a suo fratello che si occupa principalmente della trasformazione del latte nel caseificio messo a punto negli anni ’90, un progetto assolutamente fuori logica e fuori palato. Ogni giorno porta in giro i suoi animali, fa parte dell’associazione che tutela la Brogna, permette a Carlo Alberto Martini, macellaio di San Giovanni Lupatoto, di approvvigionarsi della sua carne biologica e di rendere edotto l’annoiato pubblico veronese di una terra che ha sempre tenuto dietro le spalle, un po’ poesia e un po’ dimenticanza.

Perché lì, in quelle contrade, i loro genitori hanno provato a creare una saga, trovandosi nella condizione di abbandonare tutto. Zerlotti è un borgo che non esiste più, le case di famiglia sono state lasciate alle malerbe, la strada termina e l’azienda agricola con le stalle è l’ultimo avamposto prima di buche e mura ataviche, ricordo efferato di un passato che non è riuscito a trasformarsi in presente. Eppure c’è tanta di quella rivoluzione in questi prodotti, da non sembrare nemmeno controllata. Si fa così perché è giusto così. Si alleva l’agnello, l’agnellone e la pecora, totalmente allo stato brado, per quella solitudine che è etica e possibilità di tornare a mangiare un prodotto che sappia di selvatico. Al di là delle marinature, dell’aceto, delle mistificazioni contemporanee, la carne di Lorenzo è un pugno nello stomaco per quanto è diversa. E se uno volesse togliere quella peculiarità, che si comprasse il vitello o il polletto deforme da batteria. L’infingimento deve essere l’ultima delle sue opportunità. E così per i loro formaggi e per la loro ricotta (passata attraverso una vera affumicatura di abete e ginepro): mancano chiaramente di stabilità, non hanno la certezza del giorno a venire, hanno quelle muffe nobili (sporotrichum aureum) in crosta da luoghi giusti, stanno in mezzo al legno e alle rocce, hanno poche forme, un misto pecora-vacca, e un puro pecora, in bocca straordinari, grassi, pieni, assolutamente unici, a metà strada tra una robiola e un pecorino, una pasta semi-cotta che perde umidità ed elasticità, acquisendo eleganza.

I formaggi nascono in mezzo ai prati, non in mezzo alle caldere. Questo deve continuare ad essere il principio quantomeno della montagna italiana. Se la pianura s’è mangiata la marcita evacuando prato stabile, almeno questi luoghi devono essere roccheforti di un modo di fare puro e ingenuo. E per questo devono rimanere irraggiungibili e inaccessibili. Perché non servono troppe parole, basta guardare Lorenzo negli occhi per sentire che la diversità è un abisso che si può solo tenere a distanza nella speranza di qualcosa che sia anche domani…

 

AZIENDA AGRICOLA ERBISTI LORENZO

VIA ZERLOTTI 1

ROVERE’ VERONESE (VR)

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