L’Arca dello Jato e la valorizzazione della razza Cinisara… Angelo Fiordilino

Alcamo, terra di bagli, di meloni e di vini. Terra fertile, dove sangue e cultura si sono sempre adeguati in un incontro che non è mai avvenuto. Dallo stille neoclassico alle case di campagna, Alcamo è uno svicolare dal turismo dal naso all’insù, qui si è sempre guardato verso i piedi, verso la concretezza di uno stare che, nel tempo, è stato indipendenza e dipendenza. Le richieste non avverate sono diventate delle imposizioni e, così, quello che resta è un sonnolento popoloso, qualcosa che lascia il centro per dirigersi in colline sterminate, selvagge, ventose, dove gli alberelli e i meloni impongono la sosta, il tempo e la curva, ridando indietro l’immagine di una Sicilia che si colora, diventa verde e fuoriesce dal classicismo delle stagioni. Il paese è un qualcosa che rimane, perché si guarda intorno, le periferie adagiate di botteghe di quartiere continuano a tessere le fila di discorsi consunti e di clientela consueta, quello che c’è fuori, l’eco dei discorsi, rimane ventoso e lontano. E così mi trovo in mezzo ad un agro discosto, dove il riunirsi è, da sempre, un atto medesimo e rituale.

Salvino Polizzi, uno di quelli che nel tempo ha migliorato i propri prodotti mettendo sempre al centro dei suoi discorsi il recupero della razza Cinisara, ha fondato, insieme ad altri allevatori e agricoltori, una cooperativa, l’Arca dello Jato. Questa necessitava di un finalizzatore, un macellaio che potesse frollare e commercializzare le carni, valorizzando una carne e un prodotto a cui, ormai, manca proprio poco per avere i gradi del blasone. La rarità di una vacca, a manto nero, generalizzata come Podolica ma che Podolica non è, con struttura, corna e morfologia diverse da tutte le altre, identitaria di un territorio rustico, ai margini, che trae il proprio nome dal carbone (ginisiu) e che un manipolo di dissidenti sta cercando di portare oltre, nella trasformazione e nel benessere. Angelo Fiordilino è quel macellaio… con lui sono arrivati una formidabile tenuta in mezzo alla campagna e una sorta di caveau dove stagionare, conservare e rifinire le mezzene. Un paio d’anni di stato semi-brado, fieno ed erba, e un finissaggio di tre mesi, la carne viene frollata tra i quaranta e i cinquanta giorni (anteriore e posteriore rispettivamente), grassi insaturi, omega 3 e 6, gli enzimi scindono le proteine, le carni scuriscono e si rilassano, il codone (punta di sottofesa o picanha), cotto alla brace da Fabio fido esecutore di Angelo, raggiunge vette rare di masticabilità, è pieno, grasso, ha bisogno ancora dei denti, così come il diaframma. Il cappello del prete all’olio si sfalda mentre il muscolo stracuoce e diventa un gelato a base acqua – o un sorbetto che dir si voglia… – grazie all’invenzione di Stefano “Ciacco” Guizzetti che sbilancia i palati e porta il gusto ad un equilibrio superiore. Lì in mezzo c’è la sapienza di persone, allevatori, macellai e sperimentatori che vogliono riportare l’idea di Sicilia alla Sicilia, ad un’identità complessa senza freni, dove il rustico senza belletto possa avere degli alfieri e delle dame.

“La Cinisara lecca la pietra e fa latte”

I cooperativi stanno decostruendo lentamente il passato e lo specchio di un aforisma: la carne, tanto desiderata, è finalmente una realtà, per la sommità non manca molto… qualche salume e qualche costone da seppellire…

ARCA DELLO JATO

C/DA PIANO MARRANO

ALCAMO (TP)

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