Pasticciera domestica evoluta… Lidia Calà

LIDIA CALA

Tortorici. Uno di quei paesi che hanno disturbato l’immaginario dei Nebrodi. Un luogo di bellezze estreme, di scalinate, di noccioleti, di natura rigogliosa, di bombe al mare, di minacce licenziose, d’inseguimenti senza senso, di sparatorie, di anni ’90, di malavita nascosta e di malavita palese. La tranquillità di quei monti è sempre stata una definizione imprescindibile da quel cimitero, dalla sua visione dall’alto, dai racconti che si espandevano a macchia d’olio sulla bellezza delle donne indigene e sulla violenza delle frange. Adesso è tutto finito, l’immaginazione ha cominciato a collidere con la realtà. Ci sono i guardiani dei boschi, gli allevatori di suino nero, i cercatori di funghi, i custodi dei musei etnografici, la bottega dei suicidi non riusciti, il classico centro storico in salita che mette a tacere tutt’intorno e i pasticceri domestici evoluti, quelli che il territorio non possono fare a meno di lavorarlo.

Lidia Calà a Tortorici ci è nata, ci è vissuta e ha creato il suo mondo di donne in una realtà dove alla fìmmina non è mai stato concesso molto di più che parlare (poco), uscire (in maniera decorosa) e fare lavori da fìmmina. Così lo studio non è mai stato una priorità, gli anni “da marito” Lidia li ha passati in una bottega di sartoria, ha confezionato e scelto abiti da sposa, si è sposata, ha visto suo marito partire per la Germania per aprire una gelateria, l’ha visto tornare, ha aperto il suo bar e l’ha trasformato in pasticceria. In mezzo, due figli partoriti nella necessità di non poter mai mollare la bottega, perché clienti e soldi non vanno mai disattesi.

A burrasca passata (ma questa è una storia di umiliazioni poco giusta soprattutto per un condensato gastronomico…), anche se non completamente, in un laboratorio esclusivamente composto da ragazze e casalinghe progredite, la storia di Lidia ha cominciato a circolare, insieme alla sua dolceria.

Qui, la nocciola dei Nebrodi ha trovato il suo artigiano. Nel disinteresse prematuro di un prodotto non coltivato a filari, “inforestato”, abbandonato e scarico d’espressione, i delicati pasticcieri della Trinacria si sono rivolti in Langa, in Turchia finanche nella spazzatura dei trasformatori da schiaffo del soldato appena voltato l’angolo. Lidia ha continuato a coltivare qualche albero, a portare il prodotto a Caprino di Sinagra, a prendere la nocciola e a trasformarla domesticamente, senza tecnologia, in un rispetto della tradizione da ricette delle nonne. L’eufemismo decade, qui veramente le ricette vengono rubate dialetticamente e rimesse in circolo per la contemporaneità del dolce. Pasta reale, croccante, pignolata, pignoccata, torta di nocciole e ricotta, granite, cannoli, cassate, pasta di mandorle. Tostatura in forno, raffinatrice, un piccolo mulino casalingo e poi lavoro di mano e farine, tra donne… ancora lì, tra paste spianate e mattarelli, Lidia crea una pasticceria che è solo qui.

La pasta reale perde forma e diventa un’isola, con una tostatura persistente e la nocciola a corroborare il tutto. Le paste di croccante sono perfette, friabili, poco elastiche, ricche, con i Nebrodi a dare quel tocco di territorio che nella Sicilia ha trasformato tutto in mandorla. Da qui e dalla granita alla fragola, Lidia deve partire per mettere in piedi una pasticceria senza strizzatine d’occhio alla clientela, senza quel compromesso da scontrino battuto senza domande. La crescita è già una materia prima su cui lavorare, delle ricette impolverate e una serietà (quella da quattordici ore in laboratorio) che del femminile si porta dietro tutti gli ideali e tutte le battaglie perse, quelle dei silenzi da rifiuto e quelle della capacità prima dell’avvenenza. Lidia, conoscitrice di paese (il museo etnografico, i suoi retaggi e la sublimazione del fungo portata avanti da Elio e Lucia della Trattoria Val d’Orice) e fascino quasi ingenuo, ha lasciato per strada le sofisticazioni melliflue di una pasticceria aromatica, ha cominciato una strada pulita, attraverso la voce roca dei suoi racconti e l’impatto diretto di dolci che non hanno altro che questo territorio di gente divergente e di gente deferente. Tortorici è stata la diffidenza e adesso ha bisogno di alcune facce poco compromesse e poco lascive. Lidia è prima di tutto un avamposto di cultura non imparata, per questo la tutela non deve essere un pensiero ma solo e semplicemente una difesa. L’invidia è una puzza stagnante di strisce gialle e di strisce blu. Il resto lasciamolo, veramente, solo alle donne che di questo paese han sentito tutto e adesso vogliono solo provare a fare…

 

DOLCE INCONTRO

VIA GARIBALDI 15/17

TORTORICI (ME)

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