Pecorino di Farindola: quando le donne sono più forti delle avversità… Patrizia Cotracci (di Francesca Fraticelli)

È una calda mattina di ottobre, una di quelle mattine con la luce del sole così tersa da far brillare tutti i colori dell’autunno, una luce che disegna i contorni netti del paesaggio su un cielo azzurro e senza nuvole. La campagna seduce lo sguardo con il giallo, l’ocra e il rosso delle vigne e dei frutteti, la montagna si avvicina dall’orizzonte limpida e mostra i boschi che virano dal verde delle foglie estive rigogliose al bruno caldo dei rami che si stanno spogliando. È un paesaggio che conquista tutte le emozioni, che si vorrebbe commentare, ma che lascia senza parole perché è un paesaggio così toccante che va sentito sotto la pelle. Siamo in Abruzzo, in un lembo di terra tra il mare e la montagna, tra colline morbide che ricordano i paesaggi più prestigiosi del territorio italiano e il profumo dell’olio appena spremuto nei frantoi. È ottobre e fa caldo, si ha voglia di lasciarsi abbracciare da una natura che sembra coccolarci prima che arrivino le nebbie, le piogge, il freddo e la neve dell’inverno che ci spingeranno in casa in cerca di tepore. Ci si sente in sintonia con il luogo, come in una brillante giornata di mare, quando il caldo non è soffocante e i colori sono così limpidi e vivi da saziare i sensi. Passeggiamo, ringraziando di tanta ricchezza, meravigliandoci, ad ogni curva, della bellezza che si offre davanti a noi. Siamo eccitate all’idea di essere immerse in un posto unico, dove i cicli del tempo rinnovano le loro meraviglie ad ogni stagione. Cerchiamo i prodotti migliori che queste terre così belle sanno offrire e i produttori, eredi di un sapere senza tempo, capaci di trasformare le materie prime nella ricchezza eno-gastronomica delle nostre regioni. È tempo di raccolta delle olive, ma noi oggi cerchiamo il formaggio: uno di quei prodotti che porta con sé la storia di chi vive con le greggi, le pascola d’estate, le accudisce d’inverno e ne trasforma il latte in un alimento prezioso, antico, che ha il sapore della terra che lo ha generato.

Siamo in provincia di Pescara, sulla strada che porta verso la montagna e ci dirigiamo a Farindola dove si produce un pecorino unico, nato dalla sapienza di chi ha saputo legare insieme il latte delle pecore con il caglio di suino (unico probabilmente al mondo con l’abomaso essiccato ed estratto ancora dopo la macellazione del maiale), sfruttando in maniera originale ciò che aveva a disposizione. Mentre saliamo da Penne, con lo sguardo rapito dai colori che non cessano di incantare e la montagna che domina radiosa e silenziosa tutto il paesaggio, le strade si fanno difficili da percorrere, alcune frane hanno dissestato il manto e cominciamo a dubitare di poter proseguire. Questi sono i luoghi che abbiamo imparato a conoscere attraverso le cronache degli ultimi mesi, i luoghi dei terremoti che hanno sconvolto il centro Italia, i luoghi della tragedia di Rigopiano. Chiediamo informazioni e la strada è quella giusta, dobbiamo proseguire con molta attenzione, ma arriveremo sicuramente dalla signora Patrizia Cotracci, che fa parte del consorzio dei produttori del pecorino di Farindola.

Superate non poche buche, che hanno spaccato completamente l’asfalto, arriviamo nell’aia di un’abitazione tipica delle campagne abruzzesi: una piccola casa, il capannone degli animali, le rimesse degli attrezzi. È domenica, quasi ora di pranzo, non abbiamo avvisato della nostra visita e la signora Patrizia ci accoglie con un’aria di stanchezza, forse siamo gli ennesimi intrusi che si avventurano in queste zone con un entusiasmo fuori luogo, perché non sappiamo cosa significa convivere con una natura a volte matrigna, non conosciamo la fragilità di un’esistenza legata a quello che la terra decide di dare, non conosciamo la fatica del dover ricominciare, rimettersi in piedi dopo aver temuto di aver perso tutto. Salutiamo, ci scusiamo del disturbo e le raccontiamo che siamo lì per prendere del formaggio. La signora Patrizia ci avvisa che il formaggio è finito o meglio, è finito quello stagionato, quello della mungitura del latte della primavera, sono rimaste sono alcune pezze di pecorino più fresco, fatto con il latte di agosto che, quindi, non ha il sapore tipico del pecorino asciutto. Quasi si scusa di non averlo, ma siamo noi fuori stagione, non è il tempo giusto. Inoltre, quest’anno, il lavoro è stato davvero difficile: il terremoto, che qui ha segnato la vita di tutti i residenti, le nevicate straordinarie e le valanghe, che hanno inflitto duri colpi al territorio e la siccità estiva hanno dimezzato la produzione e messo in grande difficoltà i produttori. La signora Patrizia ci racconta che le sue pecore sono allevate al pascolo vagante, sono libere di muoversi liberamente tra i prati in cerca di erba fresca, ma quest’estate il caldo eccessivo ha seccato tutti i campi e le pecore non hanno latte, che è finito molto prima del tempo. Inoltre, il 2017 è stato un anno tremendo per questa parte della Regione, il terremoto ha colpito ripetutamente queste terre e la signora ci racconta di essere stata costretta ad abbandonare la sua casa e i suoi animali per cercare un posto più sicuro lungo la costa. Poi, una volta rientrata, la neve è caduta così abbondante che era impossibile aprire la porta del laboratorio di preparazione dei formaggi e i pecorini prodotti sono andati tutti buttati perché affogati in salamoia oltre il tempo. La signora Patrizia ci consegna a malincuore un pecorino non pronto, non perfetto, troppo fresco per essere apprezzato, un pecorino che racconta cosa significa scegliere di vivere e di produrre in un territorio tanto bello quanto infido, capace di regalare prodotti straordinariamente preziosi e di togliere tutto in un attimo, di far crollare i progetti, di costringere a ricominciare, di fiaccare la forza e spegnere lo sguardo.

Non abbiamo chiesto particolari, abbiamo ascoltato quello che Patrizia aveva voglia di raccontare, laconica, a mezza bocca, con tanti sospiri. Abbiamo osservato i suoi gesti che narravano più delle parole il dolore e le difficoltà vissute: mani che si stringevano tra loro, in segno di sconfitta, spalle che si alzavano quasi mortificate di fronte a due estranee entusiaste per una gita autunnale, occhi persi nel vuoto di un ricordo ancora difficile da dimenticare. Abbiamo preso il formaggio, lo abbiamo portato a Milano, lontano da quei luoghi e da quelle mani che l’hanno prodotto, ma abbiamo portato con noi la storia di Patrizia e di tutti i contadini, gli allevatori, i produttori che lavorano le materie che la natura mette loro a disposizione con il rispetto che meritano. Cercare prodotti autentici, frutto di sapienze antiche, di fatiche, di dolori, di paure e speranza significa cercare la storia di chi ha lavorato mesi e ha sconfitto la voglia di abbandonare una vita dura e spesso avara. Non abbiamo avuto bisogno di ascoltare i racconti terribili di dolore che ha colpito questa gente, per avere la misura della forza che ha rimesso in piedi gli abitanti e i produttori di questa terra: abbiamo accettato il frutto delle mani di Patrizia e, mangiando il suo pecorino, abbiamo sentito la fatica e condiviso un pezzetto della sua vita. I suoi occhi stanchi e le mani ancora scosse hanno comunque prodotto un formaggio unico, autentico, come sempre, come ogni anno, che ci siano stati il terremoto, la nevicata, le valanghe, la siccità oppure no. Un patrimonio vestino che nelle donne trova le sue notti dei tempi e la sua irripetibilità.

PATRIZIA COTRACCI

CONTRADA COLLALTO

PENNE (PE)

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