Siracusa. Città dalle mille anime, dalle mille definizioni e dalle mille antinomie. Qui la ragione si perde dietro ogni angolo, dietro ogni coercizione e dietro ogni contraddizione. Il diseguale non è disumano ma non può fare a meno di flirtarci. E così si passa dalla stupefacente restaurazione di Ortigia, anima defraudata, magica, depauperata e rimessa in circolo di una città che è stata greca, bizantina, araba, normanna, spagnola, borbonica e infine italiana, allo spopolamento dell’immigrazione, al terremoto che l’ha distrutta nei ricordi, fino alla ricerca del petrolio per deturparla. Così è stata circondata dalle industrie, dai centri commerciali e dai centri di mestizia, quelli che hanno depredato una conformazione geologica che vive di turismo e muore di turismo. Qui l’agricoltura puzza di paura e così consorzi e serre si nascondono dietro una produzione che cerca di allontanarsi dall’infamia. Qui il deforme si nasconde negli ipogei e tra le latomie, e il canonico appare nelle forme del barocco illuminato. Ortigia è un’enorme piazza di recupero, dove le stratificazioni danno testimonianza di sé e le sciagure sembrano torvi ricordi di degrado. Il dorico che diventa cristianesimo e ritorna periferia di passaggio. Senza abbandono, con quei negozi territoriali che sono lì come potrebbero essere altrove e con quella pasticceria che ha deciso, per l’ennesima volta in Italia, che fuori dal centro ci sono più possibilità di errore… Continue reading Una pasticceria raffinatamente territoriale… Antonio Brancato
Categoria: Artigiani del gusto
I formaggi del biologo… Giuseppe Di Natale
Floridia, entroterra siracusano. Strade strette, afa e una sensazione di abbandono e mestiere. Un luogo trascurato, con le solite facciate stupefacenti e il disinteresse cittadino per un angolo di mondo che non è altro che quotidianità. Il fondo valle del fiume Anapo ha quel rigoglioso leggendario che parte da Pantalica e arriva ad Archimede, alle sue costruzioni sotterranee e ai suoi modi di nascondersi in mezzo all’acqua. Qui si è fatta la nostra cultura e qui i siracusani sono diventati maestri di conservazione ed epigoni di abbandono. Perché lucrare sulla bellezza è sempre stato un punto di vista dozzinale… e così manca il racconto e manca la necessità. Ortigia è l’unico dio, il resto è possibilità di costruire centri commerciali, edifici abusivi e poli petrol-chimici. Qui, però, ci sono pietre millenarie, scherzi del destino e improvvisati trabocchetti. E non è facile arrivare ad un ragazzo che racchiude in sé tutte le caratteristiche della provincia aretusea. Giuseppe Di Natale è una storia al di là di qualunque prodotto. Continue reading I formaggi del biologo… Giuseppe Di Natale
Impetuoso minimalismo cerealicolo… Silvia Turco
Enna è una città che potrebbe pure non essere. È talmente remota da non aver bisogno né di nuovi tagli né di nuove diramazioni. C’è una decadenza gialla che dell’esproprio si è tolta di dosso qualunque battaglia. E così è rimasta un luogo ameno e vivibile, con strade in salita che rendono tutto paese. I bambini, in mezzo ai negozi chiusi, non hanno nemmeno bisogno di definirsi, gli adulti non adombrano, rimangono incauti nel loro dialetto di relazione con il mondo. Perché spingersi alla conoscenza di un territorio, significa entrare nel complotto e nel cortile. Quello in cui ci si conosce tutti e dove la bellezza deve essere una definizione comune da cui ritrarsi significa solitudine. Così il sistema agricoltura è una comunione di facce arse, alla cui testa c’è Silvia Turco, un’agricoltrice che sta provando a tirare le fila di un territorio. Continue reading Impetuoso minimalismo cerealicolo… Silvia Turco
Grani antichi e visioni notturne… Carla La Placa
Villarosa è un luogo tagliato a metà, senza nessuna speranza. Il tempo delle trazzere è quello rimasto per guadare fiumi secchi in mezzo a letti polverosi e floridi, fuoristrada come unico mezzo di sopravvivenza e anziani dal dialetto talmente tagliente da rendere tutto più concreto. Il dissesto siciliano esplode in tutto il suo bizantinismo alla ricerca della persuasione. Perché in queste lande, che scrutano i paesi vicini come un miraggio a cui mai accostarsi, l’intimità è un ponte crollato mai ricostruito e la noluntas di quattro politicanti, che nemmeno i vaccari avrebbero potuto fare senza sotterrare il proprio zerbino, presi a rimirarsi nel loro vassallaggio di terre arse dal fuoco. Qui, al centro della Sicilia, dove è facile dominare ed è ancora più facile essere dominati, il giallo del grano è l’unica forma di religione, di persuasione e di dissuasione, è affrancamento, fuga e rendiconto familiare di un pensiero laccato o di una missiva in cui ricordare zio Gaetano e zia Pippinedda nell’incedere in gramaglie ai ripetuti funerali. Chi decide di rimanere in mezzo a questa bellezza infernale, lo deve fare con la pervicacia della devozione. Questi sono luoghi di anime sole, abbandonate e celestiali. Continue reading Grani antichi e visioni notturne… Carla La Placa
Lavanda, cereali antichi e trasformazione, nel nisseno più profondo… Gaetano D’Anca
Santa Caterina Villarmosa. Il centro della Sicilia è una vista sul Monte Canino, dove spaziare dalla provincia di Trapani a quella di Ragusa, passando per Nebrodi, Erei, Madonie e Sicani. Qui si ha una completa contemplazione del giallo dopo-trebbiatura, luoghi colti e sapienti dove la bellezza passa attraverso il sole e attraverso il vento. Questa Sicilia, sbandierata e disillusa dal turismo, è fatta da un incedere tenue e quasi sepolto. Le poche persone che rimangono, possono raccontare il silenzio attraverso mille parole. Perché da qui è molto più facile fuggire, vestirsi bene e ricordarsi del passato come un luogo dalla memoria diafana quasi spenta, in cui emozionarsi all’immagine delle rughe. Chi rimane a Santa Caterina, al di là dei centri di aggregazione giovanile e geriatrici, marchi di fabbrica di afa e partite a carte, può continuare a fare quello che qui si è sempre fatto. Il ricamo, la coltivazione di mandorle, grani e olive e rievocare la tradizione sotto forma di Santi in feste patronali dissipate e floride. Questi sono luoghi di contrasti estremi dove la famiglia D’Anca, Gaetano, Luisa e le loro figlie, continua imperterrita nella mostrazione dell’unica verità siciliana: la terra e la sua lavorazione. Continue reading Lavanda, cereali antichi e trasformazione, nel nisseno più profondo… Gaetano D’Anca
Un dolce siciliano fuori logica… Giuseppe Lo Faso
Bolognetta. Appesa al bosco della Ficuzza, la civiltà dell’hinterland si è portata dietro anche le brutture. Dove la natura è una preminenza, il disinteresse architettonico ha portato verso un lungo viale che non conduce da nessuna parte, e così il paese rimane in quella placida collina da fuga dalla città e da passaggio momentaneo. E la quintessenza del borgo la vedi dal classico ritrovo fuori da bar ancestrali dove uomini di tutte le età non possono fare a meno di guardarti e di chiedersi più che chiederti. È una reiterazione continua alla domanda, nella speranza che, prima o poi, qualcuno decida di portarla via. Sempre uguali a se stessi, questi luoghi siciliani del candore non fanno altro che confermarsi, in una ritualità che sfocia la sua libido nelle feste sacre, dove vestiti a quadri e gonne più corte trovano il soffio della corrispondenza. Ecco, Bolognetta è un luogo placido dove volano poche mosche. Continue reading Un dolce siciliano fuori logica… Giuseppe Lo Faso
Una ragazza e il suo formaggio… Marta Spera
A metà strada tra Belmonte Mezzagno e Altofonte, in quel palermitano moderno che non ha più nulla né da vendere né da raccontare, dove un paese opaco, una via centrale e centinaia di vicoli a ridosso, in cui non si passa nemmeno a piedi, diventano il luogo di un’immaginazione. Il centro è un posto dal dialetto “incarcato” e dalle portiere ammaccate, in quel festival di luoghi comuni che rendono l’hinterland una condizione dal ricordo famigerato. Qui ci sono rocce, avvallamenti e viste sulla città. È un continuo di momenti già visti e piccole epifanie senza senso. Qui, in questo territorio di nessuno, che tutti conoscono, provare a dare soddisfazioni a quella roccia aspra, che si è sempre nascosta, è l’unica maniera di apertura sul mondo e sull’insoddisfazione di vedere sempre le stesse facce e sempre gli stessi tavolini. Sublimare l’allevamento, è un compito che a qualcuno toccava. E la famiglia Spera si è presa l’incarico di non tradire. Marta e suo padre Giovanni stanno cercando una filiera senza ipocrisia e senza compromessi. Così, come si faceva in futuro… Continue reading Una ragazza e il suo formaggio… Marta Spera
Il fusillo di Felitto e altre storie… Christian Cioffi
Arrivare a Felitto sotto il temporale è una preparazione al selvaggio, a quello vero, quello che manda in tilt i navigatori e per cui ogni curva diventa possibilità di sbandata. D’altronde il paradiso va conquistato. E così il verde comincia a scurirsi e ad addensarsi, in quel Cilento frastagliato che non ha un orizzonte che non sia una bellezza nascosta, un artigianato sotteso, casalingo, quasi mistico. Dove fare le cose male significa perdizione e tavolini invecchiati dalle carte smunte e fare le cose bene un principio d’invidia che non ti levi mai del tutto dalla pelle. Ma da qualche parte bisogna iniziare, rimandare e ricominciare, in una cortocircuitazione di saperi che lasciano intatta Felitto alle sue tradizioni di rughe, vimini, fil di ferro e centro storico azzimato per la sagra. Il fusillo qui è stato la religione, è diventato abbandono casalingo, ed è stato culturalmente e commercialmente ripreso pochi anni fa per merito di un giovane che vedeva il suo Paese trasformare il verde in grigio. Anche perché qui abbandonare è stata la via più facile alla maturità. Continue reading Il fusillo di Felitto e altre storie… Christian Cioffi