Cortemaggiore. Perpendicolarità romana all’interno di una struttura agricola che lascia intatte le chiese, i portici e quei colori pastello che sembrano trasportati da una Mitteleuropa lontana anni luce. Soprattutto nella decadenza. Qui si coltivavano pere e si coltivano pere, si piantava mais e si raccoglie mais, si estraeva petrolio e non si estrae più nulla. Cortemaggiore è rimasta una provincia piacevole, uno di quei paesi dove non è così necessario che il paesaggio rimanga solo passaggio. Ci si può anche fermare per scaldarsi, per guardare i decumani, per sedersi ad un tavolino o sotto i gradini di una chiesa, per guardare quei campi lascito culturale di un’Italia ferma al bianco e nero, alla serietà, alla prosopopea e alla caricatura. Dove si mangia in casa e dove si mangia al ristorante, perché siamo molto oltre o molto prima del prodotto tipico, di quei luoghi talmente pantagruelici da non avere eguali nel mondo. Da nessuna parte. In questa provincia, l’esaltazione culinaria non è mai scesa a compromessi, si è solo un po’ sporcata e un po’ digitalizzata. Ma il pudore delle rughe continua ad infarinare mattarelli. E così nasce il mestiere della pastaia che ha appreso la manualità dei ristoranti, dei Cantarelli e di tutte quelle trattorie che han creato un’eponima maniera di definire questi luoghi, bassa padana. Qui, Sandra Viviani ha deciso di sfidare l’establishment e di provare a fare del tortello un mestiere. Continue reading Paste e nebbie… Sandra Viviani
Categoria: Artigiani del gusto
Artigianato non significa eccezione… Gildo Grondona
Pontedecimo. Periferia nord di Genova. Quartiere in mezzo ai fiumi, alle valli fluviali, all’acqua che scende e all’acqua che rimane. Strade strette, inquietanti, ponti che sovrastano delle strutture dissestate come manifesto culturale lontano da qualunque luogo desiderabile. Un sobborgo dove si vive bene e dove si vive male, come tutti i luoghi, da dove la città è talmente lontana da non sentirne bisogno, dove il cittadino è una continua forma di protezione e di somministrazione e dove le risorse umane sono costrette a transumare verso il capoluogo alla ricerca dei soldi con cui dedicarsi alla dozzinalità del televisore al plasma. Uno di quei luoghi dove l’inquietudine ti si attacca alla pelle, suda e ti risputa in faccia la tua prevenzione verso le capacità umane di adattamento. Uscita dal passato produttivo dei pastifici e delle infrastrutture, la diffidenza è una forma di strada stretta e passeggiate in fila indiana. Pontedecimo è soprattutto un luogo di storie industriali, dove la grande imprenditoria, non avendo vista, non poteva fare altro che dedicarsi al pensiero. Così la famiglia Grondona ha creato quell’angolino di mondo, nel Mondo, dove l’aria è talmente rarefatta da poterla respirare in solitaria. Un monopolio qualitativo dove il competitor non esiste. Continue reading Artigianato non significa eccezione… Gildo Grondona
Il droghiere che fa il pesto… Roberto Panizza
Genova è una città offesa, che ha subito l’incuria di una posizione che non è mai stata trasformata in una situazione. È una città portuale, montana, collinare, pretenziosa e sentenziosa. Ha l’anima del dialetto ed è nascosta dietro l’esigenza di mostrarsi. Non puoi non accorgertene, è troppa in tutti i sensi, nonostante l’incuria, le buche, il sovrappopolamento, i grattacieli più bassi d’Italia, l’effetto domino delle case popolari, l’antitetico sguardo sempre cantato, già conosciuto, già sentito. È una città talmente scritta da non rivendicare più nulla. Il fascino delle prostitute, dei caruggi, delle tipicità, delle case diroccate e della puzza di pesce non ha nulla di invidiabile fuori da qui. Ma questo è un luogo fuori dalla discussione, fuori dall’opinione e fuori dal luogo. Alzare lo sguardo è sempre un’architettura sovrapposta, sporca, atemporale. Abbaini napoleonici, finestre marinare, colori pastello, vicoli senza uscita, piazze disarmanti. Ma gli sguardi sono intramontabili e lì la dedica non è tardata ad arrivare. Senza massimizzare il cemento, i morti di Staglieno se la spassano meglio dei vivi della Val Bisagno. E Genova attutisce tutti i contrasti con la tranquillità del lungo corso. Continue reading Il droghiere che fa il pesto… Roberto Panizza
Antichi forni a legna nel buio della Val Trebbia ligure… Carlo Barbieri
Montebruno è un luogo plumbeo, buio, con poche strade, con il fascino sommerso dalle poche chiacchiere e dalle poche propaggini. Il Trebbia scandisce i tempi e i rumori, gli alberi sono caduchi, non tinteggiano più, rimangono profondi in una valle che si è tolta il turismo di dosso a suon di curve e tetti rossi. Gli archi dei ponti definiscono quella che Hemingway, privato del sarcasmo ribollito, aveva definito “la valle più bella del mondo”, forse per la sua autenticità originaria che non la porta a confondersi con il già visto. Quello che passa sotto lo sguardo poco attento è l’incommensurabile distanza con il conosciuto, i luoghi tipici sono diroccati, le case di villeggiatura nascoste, gli agriturismi sono bradi, la natura estremamente selvaggia. Un posto anti-comunicativo. Acciottolati, sassi e un dialetto scomodo, distante, in mezzo a quella statale preda di camion e motociclisti. Qui, sulla strada principale, un luogo fuori dal tempo attende il viandante depredato dalle richieste. Continue reading Antichi forni a legna nel buio della Val Trebbia ligure… Carlo Barbieri
I biscotti sono una cosa seria!?!?… Francesca Iseppato
Bovolone. Terre di torba e terre di sabbia, pievi, chiese e corti-castello ridotte a palazzi a cui sono state tolte le difese, lasciandole accumulatrici di prodotti agricoli. La coltura del riso e quella del tabacco hanno perennemente contraddistinto un territorio che nella pianura si è vieppiù nascosto e attorcigliato, come se non ci fosse un altro modo di vivere al di là della provvidenziale e operosa circospezione cristiana. Questa terra reticolata, incanalata, esaurita e sfruttata ha terminato le risorse dell’empatia, lasciando per strada scheletrici contadini convinti dalla propria abitudine, qualche esasperato modernista rinnovabile e tanti raccoglitori stagionali. Bovolone non è un luogo che richiama. Continue reading I biscotti sono una cosa seria!?!?… Francesca Iseppato
L’immagine del pasticciere… Alessandro Busato
Isola della Scala. Bassa Veronese. Rogge e paludi bonificate verso quel mestiere di imprenditore agricolo che esiste solo come signorotto. Ed è lì, nel solco di quella tradizione industriale, e di quello sviluppo tecnologico, che questo paese ha sempre detto no alla cementificazione e al sopravvento di qualcosa di più popolare, di più redditizio e di più contemporaneo. È sempre rimasto nella latenza degli undici mesi precedenti la festa del riso, quella manifestazione che è diventata emblema stesso di un commercio impoverito da piatti di carta e file con lo scontrino. Perché Isola della Scala è uno di quei luoghi sacri dove il riso svolge ancora una funzione sociale, irredentista, oppositrice. E il ruotare attorno, porta fuori, dalla gravità delle propaggini di storia incerta, delle roccheforti di sapidità a cui viene chiesto di uscire dal seminato, con qualcosa di nuovo, di desueto, quasi di festoso. Continue reading L’immagine del pasticciere… Alessandro Busato
Ecco la Bassa padana… Renato Carletti
Soarza di Villanova sull’Arda. Uno di quei luoghi che può esistere solamente qui, in Italia, in questo trivio di province annebbiate, con in mano il bianchino e in bocca il pesce gatto fritto. Uno di quei luoghi bagnati, umidi, segnati dai silenzi più che dai volti, dove la forma cascina ha catturato per sempre la definizione di contadino, di rurale, di percettibilmente antico. Le foto in bianco e nero non sbiadiranno mai sui ritorni alla terra, sulle produzioni di frutta e di salumi, sui caseifici sociali, su quella cooperazione che ci ha resi quello che siamo molto prima che potessimo accorgercene. Qui l’estetica è rientrata nelle case, si è formata attorno ai camini e agli stracotti, al fuoco che ha sempre bruciato e agli arazzi ingialliti dalla stagionatura dei culatelli. Perché per vivere su queste brine, bisogna avere la nebbia dentro, fare l’allevatore/agricoltore oppure il menestrello. È una decisione per non perdersi e per non dare la possibilità al paese di cristallizzare gli stessi volti conosciuti alle scuole medie. Segnati da una vita neghittosa a cercare la costrizione. La bassa padana è un luogo di volti che si ripetono sempre uguali. Frazione per frazione. Qui, chi vuole cambiare, deve fuggire. Il resto è paese. Continue reading Ecco la Bassa padana… Renato Carletti
Riseria Melotti: il riso ogni giorno… Gianmaria e famiglia
Isola della Scala. Uno di quei due/tre posti in Italia dove si dovrebbe fare autarchia risicola. Qui ci sono le pile vecchie, i campi bagnati, i pessin, ci sono gli aironi, ci sono le leggende, c’è la fossa Zenobia, c’è il maniscalco, l’offelliere, c’è il riso lavorato con i pestelli, i tempi lunghi, i campi biologici e i campi con poco inganno, le mostrazioni di signorilità e le feste di paese. Isola della Scala è un luogo con una connotazione ben precisa, con delle abitudini ben delineate e con uno stupore che non trova molto spazio. Le qualità nutrizionali del riso sono l’assuefazione quotidiana della cena, il surrogato ideale della pasta, quel piatto basilare da tre/quattro volte a settimana. Esiste una questua, un desiderio, una necessità, una festa, un lunedì mattina e una ritualità. Isola della Scala è fatta di nuvole basse, di sguardi dolciastri e di domeniche mattina sul sagrato della chiesa. Qui i momenti ancora scandiscono i momenti, senza fretta. E la rappresentazione migliore, quella da cui immaginare il resto chiuso senza urgenze, è una risotteria di un produttore di riso. Melotti ha capito che la filiera toglie un po’ di esposizione alle critiche che vengono rimandate al mittente sotto forma di tipo di coltivazione, quantità di ettari e guadagni concreti. Così le dimensioni familiari della ristorazione incantano l’avveduto. Eccoci qua. Continue reading Riseria Melotti: il riso ogni giorno… Gianmaria e famiglia