Reblochon: dal folklore dei monaci casari alla serietà di un formaggio quotidiano…

Abbaye de Tamie. Plancherine. Tra Annecy e Albertville, in mezzo al parco naturale dei Bauges, trappisti osservanti, forti chiusi, percorsi tra i boschi e delle mura protettive che lasciano al campanile spoglio il compito della laconica preghiera. È un’immagine che non può lasciare indifferente, che apre banalmente i cuori e gratifica più nella lontananza che nella ricerca del prodotto. Questi sono luoghi che del sacro serale, in un ammantato pieno di nostalgia, han creato una lezione spietata. Guadagnare con il lavoro, mostrare il giusto e non mettere in discussione il prodotto. C’è il rischio che anche un gran formaggio si trasformi in una palla di vetro con neve. Perchè qui i monaci ritirano il latte da stalle della zona e, nel più fervido dei segreti, in locali sottostanti al monastero, lo caseificano per produrre il Reblochon. Continue reading Reblochon: dal folklore dei monaci casari alla serietà di un formaggio quotidiano…

Beaufort d’alpeggio e la resistenza di un principio… Gaël Machet

Le Villard du Planay. Savoia. Superati gli ultimi prefabbricati che già guardano la montagna, in quelle valli alpine predate dalla necessità di divertimento, la neve è comunque efficace per una piacevolezza di sistema. Macchine compassate che s’ingrandiscono, mancando i colori pastello e smunti della decadenza paludiera, rimandano ad una Francia più vicina e meno esotica. La finitudine del legno, contrapposizione di colori che dovrebbe sempre lasciare senza parole, diventa una fiaba imposta da una conclusione di rocce e vette. Non si riesce ad andare oltre una semplice bellezza, fatta di prodotti tipici, di linee geometriche che demarcano il sentito dire dall’offesa e di rotonde fiorite che chiudono il circolo novecentesco dei vip in elicottero. Questi dati sul mondo si trovano al di qua e al di là delle alpi, in località turistiche dove sciatori, grolle e pelli abbronzate si continuano ad alternarnare nella rappresentazione della selezione naturale. Continue reading Beaufort d’alpeggio e la resistenza di un principio… Gaël Machet

Bleu de Termignon: epopea e segreti di un erborinato leggendario…

Termignon è al bordo del Moncenisio, sul termine di un pianale che contrappone forti, fiumi e una bellezza delicata che non sovrappone le valli al mal di testa. È tutto molto piacevole, largo, idialliaco con quel po’ di operoso tra i legni tagliati e qualche fabbrica integrata. Nel paese ci sono più rivendite di formaggi che abitanti, l’Italia è dietro l’angolo di un confine che ormai è possedimento e dimenticanza, qui il turismo sostenibile si è talmente sostenuto da essersi messo alle spalle i retaggi e le battaglie, allontanando la concorrenza cisalpina e mantenendo in solitaria l’originarietà di un prodotto leggendario. Il Bleu de Termignon, il nostro Murianeng (o il Blu di Moncenisio), un tempo, si produceva alla Stazione Sperimentale di Sauze d’Oulx. Ora più nulla. Solo quattro/cinque contadini alpeggiatori francesi portano avanti una tradizione estremamente complessa, di cagliate acide, assenze di inoculi ed erborinature naturali.

Raphael Bauntin e Frederic Muller (insieme a sua moglie Murielle) sono due di loro, uno lo produce solo in malga l’altro tutto l’anno, contravvenendo alla storia (per le nonne sarebbe inconcebibile portare avanti la produzione fino a dicembre) e venendo incontro alla primavera. È un formaggio di cui si parla poco e si conosce ancora meno, soprattutto in paese, ci sono poche indicazioni e molto sottobosco. La possibilità di trovare qualche forma sono ridotte al caso, busso a varie porte, mostro carte e speranze, trovo tanta cordialità, un forse e una forma conservata.

Dal legno anche qui si è passati alla ceramica, le forme vengono bucate con un ago per penetrare all’interno e permettere che l’aria possa penetrare in una delle due cagliate sovrapposte, generando le muffe. Trafiggerli ad agosto per averli blu alla fiera di Termignon, la prima domenica di ottobre. La vista non sempre soddisfa la dogmatica, ma il gusto non inganna: alcune forme possono rimanere bianche e sviluppare una proteolisi poco accentuata ma in bocca esplodere lo stesso in frutta matura, latte e funghi. La cagliata inacidita serale viene mischiata a quella del mattino, le spore iniziano a svilupparsi, si caglia, si rompe e si ricompone in teli di lino per una lenta spurgatura e poi per la pressatura. Nei mesi inizia a granarsi e ricomporsi, in quell’alea casearia che per poche centinaia di forme all’anno non viene nemmeno più codificata. Si può bucare, tagliare, spezzare o sbriciolare. Le muffe sono nell’aria e nella sapienza di pochi allevatori che han deciso di resistere agli erborinati da schiaffoni per una delicatezza setosa, impareggiabile…

Rionca: pecore e dedizione… Claudia Franzino

Andrate. Sommità della Serra Morenica, oltre quella provincia boschiva che è manifesto e manifesta. In mezzo tra il Canavese e il Biellese, sfiorando la storia delle glaciazioni, questi paesi refrattari alla modernità non attecchiscono nemmeno più nel passato. Siamo in un anacronismo di compromesso, dove la natura è andata a soggiogare tutto il resto. E le dedizioni più grandi si trovano in mezzo agli alberi, sopra i ruscelli, in quell’andare scomposto che è strada di montagna appena accennata e franata nel desiderio. Perché qui il caso non è una buona soluzione né per l’avvento né per la fuga, ci devono essere motivi chiari e sotterranei, un qualcosa che condivida questi mille metri e non te li ritorca contro. Stavolta la scelta è ricaduta sulla pecora, sui suoi formaggi e sulla lontananza da qualunque tradizione. Continue reading Rionca: pecore e dedizione… Claudia Franzino

L’Abbucciato Aretino tra latte crudo, campi di girasole e pecore sarde… Vinicio Giallini

Laterina. Sulle strade dissestate del Ciclone, in quella campagna che è Toscana, intimità, nostalgia e senso di onnipotenza. Il paese si allunga su colline frantumate, dove le strade bianche sono una delle ultime forme di relazione pre-logiche. Qui si ragiona a distanze, a viste, a ponti sul fiume e a case diroccate, ci si riconosce, si percepiscono i girasoli anche in un inverno mite, con i campi dissodati e l’estrema cura come via di mezzo del partitismo e della cultura. Qui i soldi sembra non siano mai mancati. Nonostante tutto e nonostante l’orgoglio, ogni tanto, decada, perdendo di vista la tradizione a favore di un ammodernamento, questi paesi sono un baratro di struggimento da cui è difficile allontanarsi. Si va verso l’aia, si guardano i colori del crepuscolo, ci si lascia stordire dagli accenti diretti e nebulosi e non si vorrebbe più venir via. Se poi ci mettiamo delle pecore e un formaggio agognato, il quadro assume i toni di quel velato malinconico a cui non ci si può opporre. Continue reading L’Abbucciato Aretino tra latte crudo, campi di girasole e pecore sarde… Vinicio Giallini

Giovani agricoli dentro e fuori dalla tradizione del formaggio valdostano… Azienda Agricola Massimiliano Garin

Cogne. Frazione Gimillan. 1787 metri d’altezza di quella civiltà assolata e gentile, dove i borghi si rimpiccioliscono, le strade si puliscono meno, l’acqua dalle fontane scende con la propensione al nascondimento e le chiese si pongono solerti con l’avvertenza di essere sempre e comunque una chiesa. Messosi alle spalle l’atroce, dirimpetto ai valloni escursionistici e superato quel regno del pudore che fa abbassare le voci a tutti, nonostante il metropolitano con lo zaino in spalla pretenda sempre il formidabile, gli ultimi avamposti fioriti e geometrici hanno scartato l’opportunità del selvaggio per una più blanda funzione turistica. E così oltrepassato un casuale parco giochi, ci sono ancora le antenne a dimostrare che il cielo qui ha un senso intimo e castrato. Queste montagne nascono per l’avventura gioiosa, per il diversivo e per il ricreato, fioriscono al solo pensiero. E così non possono mai smentirsi, nel verde e nel ghiaccio. Qui Massimiliano Garin sta provando a mettere radici. Continue reading Giovani agricoli dentro e fuori dalla tradizione del formaggio valdostano… Azienda Agricola Massimiliano Garin

La cooperazione casearia trentina è norma normalizzata… Caseificio Sociale di Primiero

Tra Mezzano, Fiera di Primiero e San Martino di Castrozza. Una storia giovane e piccola di commerci minerali, divisioni, unioni, accentramenti e lontananze. Le Dolomiti si sentono, vanno fino al Rolle, si accentrano, diventano Pale e altipiani lunari, si accorpano intorno ad un centro e ad un avvolgimento turistico da cui è sempre meglio prescindere. Code e tubi di scappamento non sono il lunedì mattina. Il paesaggio troppe volte ha distratto, il senso è rimasto un’espressione stupita tutt’al più ammirata, il tempo della perfezione, delle case tenui, dei campanili a punta e dei tetti spioventi ha messo le coperte alle fughe brigatiste, alle nebbie di novembre e agli assembramenti fuori stagione. Il tutto nitido trentino è di una bellezza appariscente, bionda con gli occhi azzurri, la quarta e alta un metro e settantacinque, manca di quel certo non so che laidamente fascinoso. Di facciata, questi sono luoghi manifesti, espressi, come le loro montagne, di un’avvenenza senza brufoli. E così deve essere mostrato e dimostrato. Qui, dove anche la legna è accatastata in maniera artistica. Unione, fierezza, gradevolezza ed esteriorità. Un’immagine da esportare. Così come i “mille” presidi Slow Food prodotti al Caseificio Sociale di Primiero. Continue reading La cooperazione casearia trentina è norma normalizzata… Caseificio Sociale di Primiero

Il futuro del Bettelmatt fatto di sguardi confidenziali… Gabriele Scilligo

Formazza sotto la neve diventa irrimediabilmente il luogo dell’assaggio. Dopo la fatica e l’attesa, con l’alpeggio come sfondo dei racconti e la fatica più strutturata nei luoghi e nel freddo, quel che resta è la maniera invernale. In questa conca che divide le alpi del sud da quelle del nord, il meteo è sempre un affare sbagliato, si entra in mezzo alla vallata, si oltrepassano i corridoi, si spiana, si superano le frazioni mentre le strade ghiacciano e si arriva ad una forma estrema di resistenza elitaria, fatta di cultura Walser, di tradizioni Walser, di architettura Walser e di lavori Walser. Il mantenimento diventa il più nitido dei sentimenti, qui non si scherza con il passato e si ritiene che il passo indietro sia il migliore dei modi di porsi, così quando si trova il rinnovamento, quando anche uno dei formaggi più esclusivi al mondo scende a patti con il secolo e con il suo imbastardirsi, sento l’ennesima esigenza di rivedere le mie critiche e di ridiscutere le mie funzioni. Continue reading Il futuro del Bettelmatt fatto di sguardi confidenziali… Gabriele Scilligo